Dino Campana. Biografia di un poeta
- Autore: Gianni Turchetta
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2003
Gianni Turchetta, italianista nato a Salerno, è professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università Statale di Milano. Nel suo lavoro di storiografo ha curato l’edizione dei Canti Orfici di Dino Campana, ha pubblicato la monografia Gabriele d’Annunzio ed ha inoltre curato edizioni di Svevo, Pirandello, Consolo. La biografia, scrive l’autore, è un affascinante e ibrido genere letterario conteso tra la narrativa e la storia.
Quella di Dino Campana è la sua opera più conosciuta, nella quale analizza la complessità del poeta nella sua solitudine letteraria e la fragilità della sua vita nella solitudine umana. Pochi sono i documenti e manoscritti in possesso del biografo che, per molti anni e dal 1981, ha dedicato tempo e studio su ogni scritto, lettera, articolo di giornale, foto che riguardasse Dino Campana. La casa natale del poeta venne distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, rendendo cenere gli appunti scritti, oltre alle numerose copie dei Canti Orfici.
Il saggio Dino Campana. Biografia di un poeta è un lavoro certosino di una ricostruzione difficile e quasi impossibile della sua storia non ricostruibile, al di là delle leggende e dei miti. Un personaggio illustre avvolto nelle nebbie, l’uomo poeta e l’uomo pazzo, del quale il racconto della vita, nell’intento dell’autore, risulti non essere un nuovo romanzo, né una raccolta di congetture interpretative, ma restituisca la veridicità ad una storia dolorosa e appassionata come è stata. Leggere la vita di Dino Campana è come leggere un racconto epico e tragico, con la sua famiglia, sempre a lui vicina, da quando bambino, biondo con gli occhi azzurri, con un carattere un po’ chiuso, ebbe un’infanzia felice: il padre Giovanni, maestro elementare a Marradi, rigoroso e tenero, la madre Fanny, donna energica e intelligente che di tanto in tanto scappava di casa per poi farne ritorno, e il fratello Manlio, la cui nascita fu per Dino causa di frustrazione affettiva e di conflitto familiare. Adolescente, mostrava già tutte le sue insofferenze e i suoi furori e con molte difficoltà riuscì ad ottenere, nel luglio del 1903, il diploma di maturità. Si trasferì a Bologna per iscriversi all’Università, al corso di Chimica, una scelta non propria, ma decisa dallo zio Torquato. Una materia che non capiva, ma che studiò per errore per poi abbandonarla dopo alcuni anni. Il giovane Dino leggeva moltissimo, andava in campagna per leggere i suoi poeti preferiti, come Walt Whitman, subendo il fascino del nuovo mondo. Poco più che ventenne inizierà il suo vagabondare per luoghi, gli anni erranti, entrerà ed uscirà dalle prigioni e dagli ospedali psichiatrici, supererà i confini viaggiando a piedi in Svizzera, Parigi e poi in America. Per vivere accettava qualsiasi lavoro umile: minatore, saltimbanco, carbonaio, suonatore d’organetto. Conosceva molte lingue: oltre il latino e il greco, il francese, il tedesco, l’inglese e lo spagnolo. Il suo nomadismo era diventato per lui un arricchimento culturale. Gli anni del ritorno a casa lo vedranno lavorare incessantemente al suo progetto, il libro. Correggeva i testi ogni volta che li rileggeva, e li ripensava, rendendo i suoi scritti sempre più complessi. Scriveva solo quando stava bene, perché quando il delirio lo afferrava la penna cascava di mano. Mentre la sua malattia avanzava, cercava di farsi conoscere dagli autori importanti del suo tempo: spediva i suoi manoscritti accompagnandoli a lettere di presentazione, spesso senza ricevere risposta. Vallecchi, Papini e poi Soffici, che gli rispose di aver perduto il manoscritto. La figlia Valeria lo ritroverà tra le sue carte, era il 1971, e Dino Campana era morto da quarant’anni. Amareggiato, malato e deluso, prima di entrare per sempre in manicomio fino alla sua morte, incontrerà Sibilla, il suo primo e ultimo amore. Un amore intenso e passionale vissuto nel momento più doloroso della sua vita, quando la pazzia non gli dava ormai più scampo. La storia infelice e intensa, scrive Turchetta, di un poeta unico, diverso, che ha superato e vinto il dolore con i suoi versi. La poesia, per Campana, era la giustificazione della sua vita, dava il senso alla sua esistenza.
“In fondo, proprio la follia, la miseria, il dolore, il non senso della vita di Campana possono e devono valere a farci meglio sentire la forza della sua poesia, la tenacia e il coraggio della sua scommessa, vittoriosa, contro il caos."
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