Dizionario dei nomi propri
- Autore: Amélie Nothomb
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
Se il nome, come molti credono, influenza il destino di chi lo porta, Plectrude sarà sicuramente una donna fuori dal comune. E certamente la sua vita inizia in modo quantomeno problematico: nata in carcere da una giovanissima uxoricida, suicida poco dopo la sua nascita, che le impone un nome e una vita pesanti come macigni, la piccola Plectrude viene adottata dalla sorella della madre, già sposata e madre di due figlie. Ma se la madre della piccola mostrava evidenti segni di pazzia, la zia non è da meno, e Plectrude dovrà faticare non poco per uscire indenne dalle sue pressioni.
Curioso e pungente questo romanzo di Amélie Nothomb, personalmente il primo di questa scrittrice che affronto, un agrodolce contrasto fra scrittura solare e ironica e situazioni pesanti, a volte cervellotiche e al limite del "noir". Con uno stile estremamente semplice, lineare, quasi colloquiale, la Nothomb percorre la vita di Plectrude operando con facilità, quasi con noncuranza, un’analisi in realtà accurata della psiche della ragazzina, nonché di quella di Clémence, la zia/madre adottiva.
E’ proprio la morbosa ossessione per Plectrude che trasforma Clémence, da generosa benefattrice, in principale artefice della rovina della figlia adottiva. Clémence, forse rivedendo nella nipote la strana ma amata sorella, sviluppa subito per la bambina un attaccamento superiore a quello che ha per le sue stesse figlie, viziandola ben oltre il consentito e facendola sentire una vera e propria principessa alla quale tutto è dovuto. L’impatto con la scuola e con le proprie debolezze di apprendimento è pesante per Plectrude, ma ecco che il suo forte carattere e il suo rifiuto degli schemi, contrastando con la mediocrità della massa, riesce a volgere a suo favore anche quello che sembrava poter distruggere il suo mondo dorato. La passione per la danza classica e l’ingresso alla scuola dell’Opéra, descritta probabilmente in modo francamente esagerato per quanto riguarda la disciplina e le ferree regole, rischia di trascinare Plectrude nel baratro dell’anoressia. E’ la stessa Clémence a condurvela quasi per mano, ma la strana, illogica fortuna di Plectrude è quella di avere una consapevolezza da persona adulta, e riuscire ad analizzare tutto ciò che le capita quasi "dall’esterno", come una piccola "psicologa di sé stessa". La rottura con la madre adottiva è inevitabile, e il contraccolpo rischierà di annullare la stessa Clémence, scatenando il suo rancore.
Il finale, dapprima degno di un classico film sentimentale, ha una virata incredibile e surreale (di surrealismo è, d’altronde, velato l’intero romanzo) che lascia un tantino perplessi: ci si chiede quasi se sia una trovata di spirito o un ulteriore spunto di riflessione. D’altronde, il libro ne presenta non pochi, a cominciare dall’eterno dilemma riguardante i comportamenti "fuori dalla norma", e se sia giusto o meno assecondarli: denotano incapacità di adattamento e convivenza, o sono indice di grande personalità? La Nothomb non risolve la questione e lascia al lettore il compito di trarre le proprie personali conclusioni. La scrittura, si è detto, è scorrevolissima, anche se a tratti alcune spiegazioni troppo evidenti ("...questo denota che...", "...e ciò sta a dimostrare che...") risultano un tantino fastidiose, facendo assomigliare la narrazione più a un trattato di psicologia che a un romanzo. Ma a parte questo piccolo difetto, di Plectrude ci si può solo innamorare...
- Voland, 2004
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