Il 2 febbraio 1885 nasceva a Firenze il poeta futurista Aldo Palazzeschi, l’irriverente saltimbanco della letteratura italiana. Lo ricordiamo con una delle sue poesie più iconiche, la canzonetta in versi liberi E lasciatemi divertire, pubblicata nel 1910 nella raccolta L’incendiario. Un manifesto di poetica, emblema della corrente artistica del Futurismo, ma soprattutto un ritratto in versi scritto in tono ironico e dissacrante servendosi di un uso sovrabbondante di onomatopee come di “licenze poetiche”.
Si tratta di una delle poesie più amate dagli studenti, perché ricorda il clima scanzonato di un’ora di autogestione: sembra di vedere Palazzeschi mentre salta sui banchi suonando la sua trombetta letteraria di parole “Tri tri tri”, “Fru fru fru”, strilla, urla e non si può tenere. È impazzito, è un giovinotto impenitente, ma è soprattutto un poeta. In questi versi non convenzionali Aldo Palazzeschi rivendica soprattutto la libertà dell’arte e l’innocenza insita nella “poesia pura”.
Per comprendere appieno il significato storico dell’irriverente canzonetta di Aldo Palazzeschi dobbiamo, innanzitutto, contestualizzarla. Il 20 febbraio 1909, un anno prima della pubblicazione di E lasciatemi divertire, era uscito sul quotidiano francese Le Figaro il manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti il cui incipit recitava così:
Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
La poesia di Palazzeschi è dunque la provocatoria risposta artistica a questa chiamata alle armi basata sull’astrazione. La raccolta L’incendiario era stata dedicata, non a caso, proprio a Filippo Tommaso Marinetti definito enfaticamente “L’anima della nostra fiamma”: era stato lui, il poeta combattente, ad accendere l’irriducibile scintilla dell’ispirazione poetica.
Palazzeschi si fa portavoce di questa rottura epocale con la tradizione, scardina la sintassi classica del verso, sparge inchiostro sulla pagina come se stesse eseguendo una tavolozza dipinta in colori vivaci. Il risultato è una poesia fortemente polemica che figura come un atto di ribellione E lasciatemi divertire, scritta con il tono insolente di uno scolaro impenitente, di un bambino capriccioso che ha deciso di non ubbidire agli adulti e di fare le cose a modo suo almeno per una volta.
In realtà tra le righe possiamo cogliere l’incertezza strisciante che si faceva strada tra i margini allentati di un secolo, il Novecento, su cui incombeva la minaccia ormai schiacciante di due guerre mondiali. Il clima di quei tempi doveva essere apocalittico, ben presto l’opinione pubblica sarebbe stata divisa nettamente tra l’impeto degli interventisti e la passività cauta dei neutralisti che volevano evitare di rendere il proletariato della “carne da cannone”.
Il mondo sta per finire, messere: ma Palazzeschi avrebbe una sola risposta “E lasciatemi divertire!”.
Scopriamone testo, analisi e significato.
E lasciatemi divertire di Aldo Palazzeschi: testo
Tri tri tri,
fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu ihu.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche!
Sono la mia passione.
Farafarafarafa,
tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.
Bubububu,
fufufufu.
Friù!
Friù!
Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?
bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.
Non è vero che non voglion dire,
voglion dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.
Aaaaa!
Eeeee Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
diteci un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
Un sì gran foco?
Huisc…Huiusc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku Koku Koku,
Sciu
ko
ku.
Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.
Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.
Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro,
gli daranno del somaro.
Labala
falala
eppoi lala.
elalala, lalalalala lalala.
Certo è un azzardo un po’ forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori, oggidì,
a tutte le porte.
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!
E lasciatemi divertire di Aldo Palazzeschi: analisi e commento
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Palazzeschi compone la sua canzonetta - così infatti la definisce fin dal sottotitolo - come una sorta di dialogo con il suo pubblico. È lui l’attore sul palcoscenico, o il saltimbanco nella piazza che si rotola in capriole non tanto per intrattenere gli altri, ma per divertire sé stesso. “Guardatemi,” sembra dire “gioco e mi diverto, e non bado a voi. E lasciatemi divertire!”. Così facendo rompe il rapporto con il suo pubblico, il vincolo di fedeltà che dovrebbe unire autore e lettore nel famoso patto narrativo. Palazzeschi sembra dire “Non ascoltatemi, che tanto scrivo solo per me”, eppure lo leggiamo lo stesso.
Nella canzonetta sono presenti poche rime (alternate o baciate), ma vi sono soprattutto assonanze; non vere parole, ma suoni onomatopeici. La metrica viene rovesciata, ricreata da zero attraverso “strofe bisbetiche”. Nei suoi versi “indecenti” il poeta scardina la struttura stessa del linguaggio, riduce le parole alla loro mera essenza di suoni sconclusionati, caotici, disarticolati. Attraverso questa operazione svincola la lingua - e di conseguenza la scrittura - da qualsiasi pretesa di senso.
Ma un senso, in verità, c’è.
E lasciatemi divertire contiene una precisa dichiarazione e, al contempo, un atto d’accusa: la modernità ha preso il sopravvento, corre veloce, e ormai in questo mondo in crisi non c’è più spazio per i pensatori, gli intellettuali, i poeti. Un’affermazione analoga era sviluppata anche nella malinconica Il cigno di Baudelaire, in cui oscuramente si percepiva il senso di esilio del poeta nella società a lui contemporanea, ma Palazzeschi riattualizza questa sensazione componendo versi sconclusionati, scanzonati, irriverenti. Trasforma il suo disagio in una rivoluzione, in una pretesa assoluta di libertà. Se la società non ha bisogno dei poeti, allora è lecito che i poeti si divertano con il magma incandescente delle parole.
Ed è esattamente questo ciò che fa Aldo Palazzeschi: scompone la poesia ai minimi termini con l’aspirazione di inventare un “nuovo linguaggio”. I suoi versi sconclusionati sembrano bucare la pagina: lui lascia dilagare sul foglio bianco un diluvio di parole d’inchiostro come se stesse dipingendo una tela astratta composta di colori vivaci.
E lasciatemi divertire, una canzonetta in versi liberi di 10 strofe di varia lunghezza, riprende la stessa struttura delle più celebri liriche di Aldo Palazzeschi, Chi sono? e La fontana malata, ma ha la funzione di apripista, diventa una sorta di manifesto di poetica.
La conclusione sembra sancire l’inutilità della poesia nella società contemporanea: ormai gli uomini non domandano più nulla ai poeti. Con questi versi Palazzeschi sembra porre sotto accusa la vacua pretesa di onnipotenza dell’ultimo D’Annunzio, il poeta vate. La poesia, stabilisce, ormai ha perso la sua funzione di guida, è diventata l’ultima delle arti. La constatazione, però, non è accompagnata da smarrimento o tristezza: Aldo Palazzeschi rivendica il suo essere poeta come parte fondante della sua identità. Dal momento che nessuno lo ritiene utile, allora almeno che si possa “divertire” orchestrando le parole a proprio piacimento come in un sogno delirante.
Sotto l’apparente irrisione giocosa si può, tuttavia, cogliere il segno strisciante della crisi che attraversa il secolo. L’apparente follia del poeta si fa testimone di un mondo, ormai schiacciato dalla minaccia incombente della guerra, che è ormai preda di un’inquietudine spaventosa e sembra essere sull’orlo del baratro. A questo smarrimento Palazzeschi oppone un diluvio di parole dal ritmo incantatorio, ipnotico, quasi furioso, come un ballo tribale.
Possiamo leggere E lasciatemi divertire come un elogio alla creazione artistica, al momento irripetibile in cui un uomo si trova solo con sé stesso libero di sperimentare la propria arte in parole, quadri, musica. Un attimo irripetibile quello della creazione, nel quale si può cogliere una traccia di eternità.
La poesia composta dal poeta futurista è soprattutto un inno trionfale alla libertà di espressione, un concetto molto attuale, a ben vedere. Con schiettezza il poeta stabilisce che il vero messaggio sta nel non comunicare alcuna verità suprema, nel non dare alcuna morale per certa nel secolo in cui trionfa l’incertezza e sembrano essere tutti Professori, esperti tuttologi: “ci son professori, oggidì, a tutte le porte”. Nella sua audace ribellione l’autore rivendica la propria ignoranza, la propria incapacità di dire: l’ardua morale la lascia agli altri, per sé prende solo il divertimento e la libertà di essere.
Aldo Palazzeschi fonde suoni e visioni nel magma in ebollizione del linguaggio e crea una nuova arte, che porta la sua firma e non è ascrivibile a nessun altro tranne che a lui: l’irriverente saltimbanco della sua anima.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “E lasciatemi divertire”: l’irriverente poesia di Aldo Palazzeschi
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