E quello che vidi negli occhi di Annette...
- Autore: Federica Legato
- Anno di pubblicazione: 2012
“Io vivo di parole, parole per vocazione, per necessità, per diletto. Scrivo, non faccio altro che scrivere; scrivo per vivere e lo faccio perché non potrei vivere altrimenti”.
“E quello che vidi negli occhi di Annette…” (Città del Sole Edizioni, 2012), terzo racconto di Federica Legato, compone e finisce una trilogia di romanzi fabulatori con una particolarissima prosa introspettiva. I temi principali in un ossessivo ossimoro sono la vita e la morte.
Sofia, psicologa protagonista e io narrante, percorre a ritroso attraverso alcuni suoi pazienti la sua infanzia, il peso del trauma nella sua vita dell’incendio scoppiato una notte a casa sua, il dolore di aver perso quella notte un fratellino, la mancanza della figura paterna (il padre abbandona la famiglia poiché si sente colpevole della morte del figlio). La parola, anzi la non parola, è al centro di questo racconto, quella “pensata” e non detta:
- la parola “Andrea”, unica pronunciata per la prima volta a quattro anni, è il “ tentativo di ristabilire la comunicazione verbale” con gli adulti;
- la parola “fatta d’inchiostro”, quella di Andrea che da grande fa lo scrittore è quella incisa sulla pelle;
- la parola introspettiva di un’umanità che passa dallo studio di Sofia è il “malessere inflitto o auto inflitto” di cui nessuno è immune.
L’incomunicabilità all’interno della famiglia di Sofia e tra i suoi membri diventa così metafora dell’incomunicabilità umana. Annette, l’unica tra i pazienti di Sofia, è colei che assomiglia di più alla protagonista, il suo alterego e quella che ha maggior bisogno di aiuto, il maggior “debitore di parole”. E la parola giusta, ponderata, piena di significato e non solo di significante, va cercata e usata attentamente.
Nella prefazione del libro di Caterina Provenzano, critico letterario, leggiamo che “E quello che vidi negli occhi di Annette…” è uno
“scritto maturo, dalla sintassi raffinata, elegante e dall’incedere riflessivo e controllato, soprattutto nella punteggiatura, che l’autrice spesso adopera come arma, ma anche negli spazi vuoti, che solo il lettore ha il diritto di colmare, riempiendoli con le proprie sensazioni e presagi nascosti”.
Sì, perché è proprio lo spazio vuoto che rappresenta il silenzio, ossimoro della parola, che ti squarcia il cuore, il silenzio che è “a senso unico” ma che può essere ascoltato dal cuore.
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