Eutanasia di un amore
- Autore: Giorgio Saviane
- Genere: Romanzi d’amore
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Rizzoli
- Casa editrice: BUR
Sarà stato per il titolo - “Eutanasia di un amore” -, così melanconicamente struggente, sarà per il film con Ornella Muti, così maledettamente anni Settanta, un giorno all’improvviso mi sono messa a cercarlo. Non è insolito per me andare alla ricerca di un volumetto introvabile, non proprio un pezzo di antiquariato ma comunque fuori catalogo da quei trenta o quarant’anni, senza la dignità di una riedizione o almeno di una ristampa. Non è insolito da quando, neppur ventenne, frugavo nel sottoscala di una libreria tra i remainders a mille lire e scoprii un sorprendentemente affascinante Alberto Bevilacqua in “Questa specie di amore”. Potrei dire, con nostalgia forse immotivata, che titoli così oggi non ce ne sono più. Il romanzo di Giorgio Saviane sembrava scomparso nel nulla, neppure la biblioteca ne aveva traccia. In questo caso, un mercatino online mi viene in soccorso e trovo un’unica copia del 1978 che mi arriva per posta pochi giorni dopo, copertina macchiata di umidità e quelle pagine che rischiano di staccarsi ad ogni voltata che ricordo nella mia infanzia di lettrice. Il frontespizio è un disegno evocativo di mode lontane, a cui si aggiunge l’accento sulla i di eutanasia, capricciosa pennellata. Apro e mi immergo e lo stupore si fa avanti ad ogni riga, perché “Eutanasia di un amore” è un piccolo capolavoro. Sembra di quella bellezza discreta che per strada non noti, ma che riserva poi sorprese ad ogni minima esplorazione.
Giorgio Saviane stordisce, rompe con ogni schema, stravolge le regole grammaticali sapientemente, come il pittore che, assolutamente esperto dell’arte del disegnare, fa sul foglio scarabocchi che nessun altro saprebbe tracciare. L’incipit? Se ne frega di renderlo eclatante e travolgente. Non è altro che una scena in presa diretta di lei che scende dall’auto a un semaforo. E così il finale, non è struggente, non è mozzafiato. Le poco più di duecento pagine stampate ritagliano quindi, quasi casualmente, una porzione di vita che viene poi narrata con naturalezza, mischiando i tempi verbali, un po’ al presente un po’ al passato, mischiando l’io narrante, la terza persona e la prima. E c’è la metamorfosi di Paolo allo sparire di Sena, prima, e poi al tornare sui passi di lei, quella sua incostanza che lo vede star male quasi fino alla morte quando la sua donna parte e poi allontanarsi senza troppi sensi di colpa per un altro bel volto, per un ideale che proprio non gli riesce di tradire. Paolo è intriso dei suoi anni, di quel periodo di contestazioni, lotte, rivoluzioni anche intime che ha segnato indirettamente anche gli albori della mia esistenza. Sarà per questo che amo quel decennio e amo l’incoerenza di Paolo nella relazione d’amore, che va di pari passo con una coerenza profonda verso la vita e le sue regole. Lui non vuole un figlio, è tutto qui il perno della storia, perciò la sua relazione con Sena trasla a quella con Silva, donna sterile e quindi incapace di minare le sue certezze. E a differenza di Firenze, che resta anonima e indistinta, tracciata in fretta da nomi di vie, le isole dell’arcipelago toscano si disegnano selvagge e calde, avvolgendo chi le calca con la loro energia primordiale. Sena, con il suo nome insolito, bellezza misteriosa, alta e bruna quasi fosse esotica, negli anni è cresciuta più del suo uomo, si sforza di non amarlo, lo sprona rifiutandolo, ma tutto fallisce perché è incapace di razionalizzare a lungo e si lascia prendere infine dai sentimenti. Incapace di combattere la sua battaglia di diventare madre.
Il ritmo di “Eutanasia di un amore” varia di capitolo in capitolo, si fa esasperatamente lento durante la sofferenza di Paolo, rapido nel momento della riconciliazione e infine malandrinamente in sordina nelle ore di Paolo rubate con Silva. E si arriva alla fine già nostalgico, nel cuore lo sguardo profondo di Sena, là, nel gorgo nero di una pupilla dove un amore muore senza grida, si spegne come un bimbo mai nato, angosciante presenza-assenza, nel sacrificio imposto da anni difficili.
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