Fassbinder e l’estetica masochista
- Autore: Simona Almerini
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Sono passati trent’anni dalla morte del regista tedesco Rainer Werner Fassbinder eppure si avverte ancora l’urgenza di indagare la sua sterminata filmografia.
Parole che ti vengono in mente pensando a Rainer Werner Fassbinder: cinema d’essai, trasgressione, “Querelle”, divise (anche mentali), rapporti di potere, bulimia creativa, melò (rielaborato), omosessualità, “Il matrimonio di Eva Braun”, “Germania in autunno”, suicidio, storie dure, finali ambigui, “Le lacrime amare di Petra Von Kant”, triangoli amorosi, Hanna Schygulla, fascinazione per l’abisso, denuncia, sarcasmo.
Immaginate lo specifico filmico fassbinderiano come una sacher per cinefili: la ponderosità contenutistica di stampo teutonico e la lievità della forma, propria di una teatralità che diventa ironia prima ancora che denuncia.
Sotto l’aspetto ideologico/creativo, Fassbinder è stato figlio delle istanze movimentiste del Sessantotto: la cultura come grimaldello per scardinare dal basso i capisaldi della tradizione. Non a caso il suo cinema risulta affollato di emarginati, neri, delinquenti, prostitute, immigrati, operai, terroristi, omosessuali: il popolo dei drop out contraltare ai borghesi e alle loro vite di facciata, votate al conseguimento del benessere economico a ogni costo. La destituzione ideologica dello Stato e delle istanze conservatrici è condotta da Fassbinder attraverso una rappresentazione della società tedesca asfittica e contraddittoria, rivisitando la lingua del melodramma classico alla luce dell’ironia e della denuncia.
Prima di ogni altro aspetto, ciò che si prefigge di indagare l’ottimo saggio che Simona Almerini dedica al regista (“Fassbinder e l’estetica masochista”, Ass. Culturale Il Foglio, 2013) è la correlazione fra il suo cinema e la pulsione masochista, i cui topoi semantico/formali sono affrontati attraverso l’impiego di strumenti concettuali assunti in prestito dalla critica cinematografica (l’autrice ha una laurea specifica, si vede e si sente), ma anche da psicoanalisi, filosofia, letteratura. Ne discende un lavoro stimolante che muove dal concetto “ampio” di masochismo e approda al tema della morte (della morte per suicidio, in modo specifico) come solo sbocco possibile per il masochista che aspira all’unione definitiva con la madre.
Come si può intuire il libro è adatto soprattutto agli “iniziati” (al cinema di qualità e alla filosofia) ma, una volta tanto, risulta una nota di merito, non un difetto.
Fassbinder e l'estetica masochista
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