Faubourg
- Autore: Georges Simenon
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2013
“Furono gli unici a scendere dal treno e, ignorando il sottopassaggio, aspettarono che il convoglio ripartisse per attraversare i binari”.
Un uomo, con un soprabito nero di lana molto attillato che insieme al cappello di feltro nero a tesa larga gli dava l’aria di un attore in tournée, e una donna, morbida e grassottella, volgare, vestita di seta nera, si incamminavano insieme lungo la banchina. La stazione era particolarmente squallida, di media grandezza, con sei binari, dei sottopassaggi, un ristorante, un bar e un tetto a vetri annerito dal fumo. “Un tempo a De Ritter sembrava immensa”. Il truffatore, definito da chi lo conosceva bene un dilettante, tornava nella sua città natale dopo un’assenza di ben ventiquattro anni. Con lui si trovava Léa, conosciuta a Clermont – Ferrand solo due mesi prima in una casa di tolleranza. René e Léa avevano viaggiato in terza classe e i loro vestiti emanavano un odore di treno. La pioggia cadeva sottile mentre la coppia si era diretta nel caffè di fronte alla stazione, dopo aver consumato una birra De Ritter aveva scritto a Léa l’indirizzo di un albergo. Lui aveva proseguito con una valigetta in mano e il bavero del soprabito rialzato. René conosceva quelle strade pietra per pietra continuando a camminare nel suo vecchio quartiere, ecco Rue Saint – Roch, Place des Métiers “pulita e ombreggiata come un giardinetto”. All’angolo di rue de l’Ecole, l’uomo aveva accelerato il passo per poi fermarsi davanti a una porta dipinta di verde.
“Come in tutte le case del quartiere c’era una targhetta di ottone vicina al campanello”.
Nella targhetta c’era scritto “Vedova Chevalier”. Dietro quella porta dipinta di verde viveva sua madre che aveva affittato una camera alla signorina Niquet “che aveva cinquant’anni e una buona rendita”. Strano connubio era quello... Nei giorni seguenti di quel maggio che qui appariva luminoso come non mai grazie alla fluidità dell’aria, De Ritter si sarebbe divertito a vagabondare per il faubourg che aveva abbandonato diciassettenne, lui figlio di un cassiere di banca, per arruolarsi “aveva chiesto di essere mandato nel Tonchino”. Da allora René non era più tornato a casa, nemmeno una volta.
“Adesso chi l’avrebbe più riconosciuto? Chi si ricordava del ragazzino scheletrico, che portava i capelli lunghi, da artista, che guardava in modo insolente le zie e gli zii, e disprezzava l’intero quartiere e la sua gentucola?”.
Fuggire dalla cittadina di provincia, esplorare il pianeta, via dal mondo opprimente e chiuso nel quale era nato e cresciuto, era stato questo il pensiero dominante di De Ritter che fin da giovane aveva voluto fare a modo suo e che quando diceva la verità sembrava che mentisse. Non aveva mai voluto essere una pecora in vita sua, René aveva 42 anni e nemmeno un soldo in tasca, perché “meglio vivere nell’immediato presente”.
In Faubourg, scritto da Simenon a Papeete nel 1935, apparso a puntate sul settimanale Marianne l’anno seguente e stampato nel 1937, il protagonista compie il classico viaggio proustiano alla recherche du temps perdu.
La bella traduzione di Massimo Romano conduce chi legge attraverso la mente di René De Ritter alias René Chevalier, nato piccolo borghese, sfuggito alla mediocrità e alla noia e poi ritornatoci per disperazione, curiosità e forse nostalgia in una città alla quale volutamente il grande scrittore belga non ha dato un nome. Un delitto avrà luogo. Quando? Al lettore il piacere di scoprirlo.
Dal 1985 Adelphi ripubblica con cura meticolosa l’opera omnia di Simenon e nemmeno questo piccolo capolavoro di poco più di cento pagine nella cui elegante e raffinata copertina appare Nudo di donna sdraiata di Jules Pascin (Musée des Beaux Arts, Nancy) poteva sfuggire all’elenco. Riti consolidati sia prima di scrivere sia durante la scrittura, pipa caricata, astuccio di pelle rossa con matite temperate, un capitolo al giorno, accanto a sé l’elenco telefonico per selezionare nomi e indirizzi, piantine delle città e orari dei treni, pochi aggettivi. Era questo l’universo mentale di Simenon. Seduto con disciplina alla sua scrivania Georges raccontava la Comedie Humaine che ancora oggi ha la capacità di coinvolgere e affascinare noi lettori.
“Ma lui non aveva nessuna voglia di partire. Era partito troppe volte nella sua vita. Non aveva fatto altro che partire. Ora, anche se pieno di rabbia, provava il bisogno di girovagare per quelle strade, di riconoscere i muri, i profili, le insegne dei negozi...”.
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