Fenomenologia della merendina
- Autore: Riccardo Ventrella
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
A un certo punto dalle mie parti girò la voce che le Big Bubble facessero male. Facessero venire il cancro in quanto prodotte con budella di topo (sic!). Non diedi peso alla cosa, continuando imperterrito a sfidare la sorte e la carie (quella sì), asservito alla voluttà di una gomma da masticare che quanto a gusto non temeva rivali. Inoltre a noi ex bambini degli anni Sessanta la iattura “cancerogeno” ci faceva un baffo, adusi com’eravamo a ogni sorta di additivo, conservante, edulcorante, colorante sparpagliato tra lecca lecca, ghiaccioli, caramelle, bevande e merendine con i quali eravamo venuti su.
Eravamo i figli dell’invasione felicemente anti-salutista e proto-obesa irretita dai brand via fumetti e caroselli, non ancora nevrotizzata dallo smaltimento calorico e dai sensi di colpa: si faceva merenda e si correva in cortile (privato o scolastico che fosse), a ripensarci oggi la nostalgia è canaglia, una reverie invero nobilitata da Proust con le sue “maddalene” inzuppose (si direbbe oggi). Per non dire di Nanni Moretti (se non vi spaventa il salto da sacro a profano) che in Palombella Rossa urla come solo il Moretti di una volta sapeva urlare:
“le merendine di quando ero bambino non torneranno piùùùùù”. (cit. nel testo).
Per venire al dunque: ho dovuto vedermela con l’acquolina alla bocca dell’anima mano a mano che divoravo (è il caso di dirlo) “Fenomenologia della merendina”, il succoso (è il caso di dirlo bis) “Catalogo ragionato di una nostalgia in cinquantadue voci” che l’ottimo Riccardo Ventrella ha da poco editato per le Edizioni Clichy. Là dove il termine fenomenologia non deve suonarvi eccessivo, in quanto anche merendine (e/o succedanei vari) possono essere assunte come significanti trasversali, idonei per analisi di tipo storico, antropologico, comunicativo e, perché no, spirituale, connesso cioè al nostro stare al mondo e starci in maniera un po’ più dolce. Teorizza Riccardo Ventrella in capo al suo librino (ma soltanto per via del formato):
“Le merendine – non tanto i dolciumi in generale, ma proprio le merendine – sono ormai assurte a categoria della memoria emotiva degli italiani, tutti o quasi, dai baby-boomer in poi, possono dire di aver provato questa esperienza di gusto. Qualcuno, in pochi con ogni probabilità, contagiato dal celeberrimo episodio proustiano, il fenomeno straordinario che porta il narratore in Dalla parte di Swann a cercare una verità che ha dentro di sé” (p. 12).
Le merci – comprese quelle alimentari – possiedono dunque una dote meta-funzionale, in grado come sono di indurre stati d’animo, suggestioni, sapori perduti (si pensi all’effetto vago nostalgico-vintage sul quale poggiano volutamente gli spot della Mulino Bianco): questa “Fenomenologia della merendina” su brand da immaginario collettivo (a coprire un arco temporale incentrato soprattutto tra gli anni Sessanta e gli Ottanta) ne comprova la dimensione ulteriore: la Nutella, il Buondì Motta, i Ringo Pavesi, i Bubble gum della Elah (quelli dei proto-capitalistici Paperondollari, ricordate?), i formaggini Mio e i biscotti Bucaneve come tracce, insomma, di una memoria e di una storia collettive. Bambine, sospese, persino sognanti malgrè tout.
Fenomenologia della merendina. Catalogo ragionato di una nostalgia in 52 voci
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