Ferdinando IV a Ischia (1783-1784)
- Autore: Antonio Moraldi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
“Ferdinando IV a Ischia (1783-1784)”, il grazioso libello ristampato di recente dalla casa editrice ischitana Imagaenaria, è il resoconto di due viaggi che il re di Napoli Ferdinando IV, futuro Ferdinando I delle Due Sicilie, compì nella meravigliosa isola negli anni 1783-1784. Il manoscritto fu a lungo dimenticato, per poi essere ritrovato nel 1922 nella biblioteca di famiglia del notaio D’Aleta, che lo fece ristampare a proprie spese.
Ne è autore il sacerdote Antonio Moraldi, fedele testimone delle vicende narrate. Il libricino ha la struttura del diario, a tratti quasi del resoconto giornalistico, descrivendo in maniera puntuale l’arrivo e il soggiorno del Sovrano nell’isola. Come evidenziato da Amedeo Maiuri, lo stile del Moraldi è una particolare combinazione tra linguaggio burocratico da registro parrocchiale, toni elegiaci per compiacere la Corona e qualche timida concessione ai francesismi in voga in quegli anni. A distanza di oltre due secoli rimane una lettura godibilissima, che strappa più di un sorriso, sebbene l’intento dell’autore non fosse certo umoristico. Emerge un ritratto del Re non così lontano da come ce lo hanno tramandato gli storici e gli scrittori; si pensi, in proposito, alla sottile descrizione che ne fa Striano nel suo capolavoro “Il resto di niente”. Padre Moraldi rappresenta Ferdinando come un uomo scherzoso, non incline alla collera, amante delle donne e del buon cibo, mite con gli umili ed insofferente con i prepotenti. Vengono in particolare narrati numerosi episodi che confermano quanto riportato da molti biografi, ovvero il piacere del Sovrano di circondarsi di gente comune piuttosto che di dignitari.
Nell’accingersi a leggere il libro, è però opportuna un’accortezza. Dobbiamo abbandonare per qualche momento la nostra sensibilità democratica moderna, che ci porta a vedere in ogni monarchia un relitto storico, in ogni sovrano un tiranno, in ogni fedele suddito un adoratore, per calarci completamente nello spirito di quei tempi, nell’animo festoso e semplice di Padre Moraldi. Certo quest’ultimo non aveva dubbi sulla bontà del suo Re; eppure, è riuscito egualmente ad evitare il rischio più grande che opere di questo genere corrono: diventare apologia o, peggio ancora, apoteosi del personaggio. In verità, nel libretto non prevale la piaggeria, quanto piuttosto un’acritica benevolenza, quella che un uomo semplice tributa al suo Re.
Come detto, Moraldi era un parroco di campagna e non certo un letterato di professione e per questo il libro va letto come la viva cronaca di un tempo che non esiste più, festante quadretto di un’isola ancora lontana dai clamori mediatici e turistici dei secoli a venire, paradiso in terra abitato prevalentemente da umili contadini e pescatori.
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