Ferlinghetti 100. Viaggio in Italia
- Autore: Enzo Eric Toccaceli
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Cento anni di Lawrence Ferlinghetti, lo scorso 24 maggio. Testimone e cantore di un secolo acceso, controverso, senza mezzi termini come lui. Un secolo attraversato nelle luci e nelle ombre, ripreso nei colori, trasceso in versi dirompenti, dibattuto tra lotta e utopia, jazz e vita. Ferlinghetti ha scavallato il breve Novecento e lo ha fatto da Icaro e da outsiders al tempo stesso. Lo ha fatto - ancora - da libertario consapevole, da pacifista, da irredento, da agit prop culturale. A partire dalla sua mitica City Lights di San Francisco, libreria e casa editrice che per prima osò stampare l’Urlo di Allen Ginsberg. Per dirla con le parole di Enzo Eric Toccaceli, autore del libro fotografico che di Lawrence Ferlinghetti illustra le reiterate incursioni italiane per reading e mostre di pittura (“Ferlinghetti 100. Viaggio in Italia”, Stampa Alternativa 2019):
Lawrence Ferlinghetti ha vissuto un intero secolo di versi, arte, eventi, nomi, amori, mille storie e visioni infinite, sempre sognando, e per questo vivendo. Quarant’anni fa, lo sentii leggere Vecchi italiani morenti, una poesia appena scritta in quel 1979, nella bolgia di Castelporziano, fra più di ventimila persone stravaccate sulla spiaggia ad ascoltare poeti venuti da tutto il mondo, in particolare i cantori ‘beat’: Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs, Anne Waldman e, appunto, Ferlinghetti (…)
Al netto del tempo che è passato, “Ferlinghetti 100” riprende l’aedo in sfondi idealmente simili, rivelandone sottotraccia l’humus resistenziale. Il poeta affiora da focus oggettivi, rivelatori dei volti e dei momenti di vita: durante la performance all’Auditorium di Santa Barnaba (Brescia) del 2002 e al teatro di Tor Bella Monaca, a Roma nel 2008. Sorridente, a Pescara, nel 1998 e in posa più austera – in testa un cappellino a visiera con su scritto “City Lights Books. San Francisco”, sempre a Roma, due anni prima, nel 1996. Per esempio. I ritratti di Enzo Eric Toccaceli – da trent’anni contiguo all’espressione poetica, anche nei volumi su Claudio Lolli "Rumore Rosa" e su Alda Merini, a "Casa di Alda" (editi dalla stessa Stampa Alternativa) - sono di nitore realista, muovono dalla rughe e dai sorrisi e alle rughe e ai sorrisi ritornano con la medesima imparzialità espressiva.
I contesti, le facce, gli sfondi, alimentano, poi, il discorso fisiognomico su Ferlinghetti: un po’ guru, un po’ bon vivant, vecchio saggio e matto lucido. Pittore e poeta. Del genere che non teme di inzaccherare la sua prosa di parlato e nemmeno di inturgidirla di simbolismi, evocazioni, tutt’altro che aureolate. La poesia di Lawrence Ferlinghetti si attesta insomma sulla strada. Battuta dall’aura di parole come queste, sottratte all’incipit della fluviale Autobiografia che occupa le pagine 13-21 del libro:
Faccio una vita tranquilla/ nella Casa di Mike tutti i giorni/ guardando i fuoriclasse/ del Salone da Biliardo di Dante/ e i francesi drogati del flipper. Faccio una vita tranquilla/ nella Lower East Broadway/ Sono un americano/ Leggevo la Rivista del Ragazzo Americano/ e ho fatto il boy scout/ in un quartiere residenziale/ Pensavo di essere Tom Sawyer/ quando catturavo gamberi nel Bronx River/ e mi immaginavo il Mississipi/ Consegnavo la rivista Brava Casalinga/ alle cinque del pomeriggio/ oppure l’Herald Tribune/ alle cinque del mattino/ Sento ancora il tonfo del giornale/ su quelle verande perdute/ Ho avuto un’infanzia infelice (…)
È sulla scorta di frasi così che la poetica ferlinghettiana continua a soffiare nel vento. Capace di fare proseliti e sopravvivere a tutto - al Vietnam, a Nixon, ai voli pindarici della maniera, alla zoppia del sogno americano, alle bettole e ai Grand Hotel - mantenendosi intatta. Succede solo alla vera poesia.
Illuminato anche dagli interventi biografici e analitici di Damiano Abeni (“Cent’anni ancora, il grande viaggio nelle luci della città”) e Plinio Perilli (“Lawrence Ferlinghetti: versi e sguardi italiani”), “Ferlinghetti 100” è un libro struggente, salutare, iconico e prezioso. Come il bianco e nero che caratterizza l’orma fotografica di Enzo Eric Toccaceli. Non perdetevelo.
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