Filmare la morte. Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci
- Autore: Gordiano Lupi
- Genere: Horror e Gotico
- Anno di pubblicazione: 2006
Sono stato anch’io un ragazzo della via Gluck (nel senso del finto impegno celentanoide), cosa credete? Mica si nasce marxisti, con l’intera filmografia di Sergej M. Ejzenštejn a girarti e rigirarti per la testa. Le mie memorie di trashista da giovane riguardano il seno di Gloria Guida (piuttosto che il vangelo di Pasolini) e le pellicole al sangue del dr. Lucio Fulci. Soprattutto le pellicole sangue & zombie del dr. Lucio Fulci, una specie di Orson Welles in minore, votato al cinema ‘de paura, ma con la classe dirompente di Rombo di tuono (alias Gigi Riva), se mi passate la metafora calcistica. Mai visto niente del genere e se ve lo siete perso (troppo giovani o troppo impegnati a seguire i consigli di Morando Morandini) andate a recuperarvi la sua filmografia anni Ottanta (soprattutto): non saranno film perbenisti e nemmeno da Oscar si parva licet, ma sanno come inchiodarti alla poltrona dal primo all’ultimo minuto, provare per credere (cominciate dalla quadrilogia “Sette note in nero”, “Paura nella città dei morti viventi”, “L’Aldilà” e “Quella villa accanto al cimitero”, volete?).
Rispetto al manicheismo dei film dell’orrore americani, quelli di Fulci (più ancora che quelli di Argento) non consolano e non passano, quasi mai, dall’happy end, perché aldilà delle balle che vi hanno raccontato è il Male che vince sul Bene da queste parti, cominciate a farvene una ragione. Il gore come metafora del lato terrifico della vita, quello made in Italy più che mai.
La corposa monografia che Lupi & Chianese dedicano ai film thriller/soprannaturali di Lucio Fulci si intitola “Filmare la morte” (Edizioni Il Foglio, seconda ristampa) e davvero titolo non poteva essere più azzeccato. Come dimostrano ampiamente i due autori, il cinema di Sua Maestà dei morti viventi è un cinema artaudiano, intimamente imparentato con lo sguardo e la rappresentazione senza infingimento alcuno della fine. Per l’agnostico (e disilluso anche) regista romano, zombie e case maledette sono stati pre-testo per un discorso in progress sull’atto del mostrare e su quello del vedere; una reiterata dissertazione (di film in film) sull’occhio cinematografico, spesso impietoso, persino efferato, ma capace di dire, se non proprio l’ultima parola, quanto meno la sua, in fatto di perizia tecnica combinata a visionarietà (si riveda l’immaginifico finale di “L’Aldilà”).
Il saggio di Lupi & Chianese si offre dunque alla lettura come un periglioso (ma anche affascinante) viaggio nel mare dei topoi fulciani, per mezzo di sinossi, analisi filmiche, insert di natura cinefila, svariati rimandi e diverse tiratine d’orecchi a quella critica intellettual-chic che se non sono filmini da due camere + tinello e tanta logorrea, non godono abbastanza (ovvio che se a girare è Ingmar Bergman il discorso cambia di molto, mica sono pazzo).
Il cinema è il medium della catarsi per antonomasia: che riesca a evocarla coi dischi volanti spielberghiani, coi grattacieli in fiamme dei disaster movies, o con gli adorabili mostri in azione diretti da Lucio Fulci, è lo stesso. Ciò che conta è la “presa” sul pubblico pagante: la critica francese ha introiettato l’assioma per tempo e da un bel po’ dalle nostre parti si continua a stroncare per partito preso: anche per questo l’industria cinematografica italiana è bella che andata da almeno trent’anni.
"Filmare la morte" è un saggio per cinefili autentici, senza cioè pregiudizi né puzze sotto il naso; il lavoro è peraltro non apologetico, onesto, indispensabile, per chi crede che le vie del buon cinema-cinema (senza altri aggettivi, prescindendo dai generi), come quelle del Signore, sono quasi sempre infinite. Il libro contempla anche un intervento dello sceneggiatore-thriller Dardano Sacchetti che ci illumina alquanto sui retroscena della straordinaria avventura della cinematografia popolare che fu.
Filmare la morte. Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci
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