Tutto Avati
- Autore: Gordiano Lupi Pupi Avati
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
I film di Pupi Avati sono un genere a sè: che raccontino micro-storie di provincia (slanci, rovine, amori, sfide, musica, persino terrori di provincia) o affaccino sui terreni impervi delle fede è lo stesso: ti accorgi quasi subito che è un film di Pupi Avati. Forse per via della sottile aura di spleen che vi aleggia tra le pieghe, argomenti sul Papà di Giovanna o di arcani incantatori. Un aneddoto personale, per suggerire qualcosa dell’uomo Pupi Avati: quando l’ho intervistato, lavoravo ancora per una piccola televisione locale. Quel pomeriggio mi accompagnava un cameraman inesperto, visibilmente ansioso. Arrivò in ritardo sul luogo dell’appuntamento e l’emozione di trovarsi di fronte al regista non fece che peggiorare le cose: diede l’ok per l’inizio intervista dimenticando di azionare non so quale start della macchina da presa. Fummo costretti a rifare, con Avati che pazientava, scrutandolo senza sorridere. Interessato com’ero al thriller made in Italy, gli chiesi soprattutto della sua vena gotica e lui fu tracimante, non si risparmiò. Fece lo stesso quando spostammo la conversazione su Regalo di Natale, uno dei miei film madeleine, a chi interessa. Sto arrivando al nocciolo: Pupi Avati è un regista trasversale ma non pedissequo ai generi, che visita e rivisita senza farsene soggiogare del tutto. Per descriverlo con le parole di Fabio Canessa – prefatore del monumentale “Tutto Avati” di Gordiano Lupi e Michele Bergantin (Edizioni Il Foglio, 2018) –
“figlio bizzarro di un Sessantotto rinnegato (…) e di un Fellini rivissuto da un artista controcorrente, Avati è contemporaneamente terragno e metafisico, cattolico e pessimista, incantato e disincantato, capace di osare sentimenti estremi e guizzi surreali, simile a certi suoi personaggi saggiamente matti”.
Appunto.
“Tutto Avati” è dunque un tomo poderoso (più o meno 550 pagine) e forse non poteva essere altrimenti, data la copiosa filmografia avatiana. Un saggio tassonomico, parcellizzato, secondo le ottiche multiformi del regista. La prima parte ne contiene la filmografia commentata, attraverso lo sguardo oggettivo di Gordiano Lupi, fra gli studiosi di cinema italiano meno paludati. Per rendere l’idea di come si autorizzi a inquadrare luci e ombre dello stesso tema, tenete a mente gli esempi che seguono. Su Zeder:
“Avati crea un originale gotico italiano ambientato in epoca contemporanea e scava nella paura prodotta da antiche credenze popolari”.
Su Impiegati:
"Non è tra i film più riusciti di Pupi Avati, nonostante tutte le buone intenzioni del regista e alcune felici intuizioni. La storia risulta datata e di non semplice comprensione per un pubblico ordinario, soprattutto oggi che il fenomeno degli yuppie pare superato e scavalcato da situazioni ben peggiori”.
Puntuale e anti-apologetico quando occorre: lo spirito del libro è così. La seconda parte è opera di Michele Bergantin e assembla con minuzia le interviste rilasciate nel corso del tempo da chi Avati l’ha incrociato sul set o visto da vicino (attori e registi, in primis). Comprende anche un’intervista insolita ad Avati stesso, in cui il regista risponde sul suo rapporto con la figura di San Francesco (pag. 536) e la fede più in generale. Una nutrita appendice fotografica assegna valore aggiunto a un volume da non perdere.
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