Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino
- Autore: Gordiano Lupi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Giuro che mi imbarazza parlare sempre bene delle cose che scrive Gordiano Lupi, sta di fatto che non posso evitare di farlo, prima ancora che sulla scorta della caratura delle sue opere in virtù della loro “autenticità”. Che scriva di comico-erotici e horror all’italiana, di Cuba e santera, che meni fendenti a destra e a manca con il vetriolo capace del libero polemista, è lo stesso: il taglio narrativo di Lupi si riconosce tra cento, in quanto piano, immediato, non artefatto, sincero (e anche un tantinello in controtendenza, toh). Appunto. Ho appena finito il suo romanzo più intimista -“Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino” – da poco uscito per le Edizioni Acar, e beh, che dirvi? Che mi è piaciuto un sacco per un sacco di motivi, mi è piaciuto
- perché c’è dentro buona parte del suo mondo che a guardar bene coincide con il mondo di un’intera generazione (quella che era bambina negli anni Settanta);
- perché è un romanzo costruito sui sentimenti e sulle radici;
- perché parla di calcio, certo, ma di quello “terra e polvere che tira vento”, quello degregoriano dei campetti di provincia;
- perché parla di cinema popolare e anche delle sale “romantiche” delle terze visioni.
“Calcio e acciaio” è quasi una carrellata in campo lungo (e struggente) sui bar, i suoni, i sapori, le facce, le passeggiate, gli operai, i paesaggi di una volta. Ha persino una sua colonna sonora, quella (ideale) fatta dalle canzoni dei cantautori (il libro si apre e si chiude con prefazione e post-fazione sui generis, date dai testi de “La leva calcistica della classe ‘68” di De Gregori e “Vado via”, di Stefano Rosso. Stefano Rosso, dico, non so se mi spiego). “Calcio e acciaio” è pieno così di madeleine, di cose perdute, amori e occasioni mancati d’un soffio, è un romanzo malinconico ma a suo modo “saggio”, disteso, consapevole del fatto che a fare a pugni col tempo che passa non serve a niente, e allora tanto vale tirare per la coda questa vita e in sede di bilancio, semmai, raccattarne i cocci e accontentarsi di quelli.
Lo sfondo narrativo è dato da una provincia soffusa - la Piombino dei sogni riflessi, delle acciaierie-pane quotidiano, degli idoli “poveri” Aldo Agroppi e Lido Vieri -, dove Giovanni ritorna per allenare la squadra locale che si dibatte tra i gironi infermali dei campionati di Divisione. Giovanni è stato un calciatore di successo ma alle mille luci e alla ribalta di Milano a un certo punto ha preferito la piccola cittadina natale, dove anche misurarsi coi fantasmi del passato non fa male perché è quasi un rito sapienziale e fa parte del gioco della vita.
Cos’altro dire? Ah sì, che mi auguro siate in tanti a leggere questo romanzo (dubito andrà mai nei salotti letterari delle tv, dunque datevi da fare) perché ne vale la pena: dopo essersi cimentato col "nero" e col rosso sangue in tutte le loro declinazioni, Gordiano Lupi ci spiazza con una storia interiore, sommessa, riflessiva e riesce a farlo con uguale perizia.
Calcio e acciaio: dimenticare Piombino
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