Una terribile eredità
- Autore: Gordiano Lupi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2009
Cattivi pensieri (ma non troppo): chissà se a Gordiano Lupi sarebbe mai venuto in mente di scrivere un romanzo come questo se non avesse conosciuto come le sue tasche Cuba e i cannibal-movie italiani di qualche decennio fa. Scherzo, ovviamente: il fatto vero è che lo scrittore-saggista di Piombino non finisce mai di sorprendermi: “Una terribile eredità” (Gruppo Perdisa Editore) è tra le cose migliori che abbia prodotto e vi garantisco che ne ha prodotte di buone & belle. “Una terribile verità” è un romanzo disturbante, nel modo ambiguo e sottile in cui disturbano le vicende borderline, quelle nelle quali le coordinate valoriali vengono scombinate/rimestate/rivoltate di pagina in pagina e di volta in volta, quelle nelle quali alla fine non sai nemmeno più da che parte stare e con chi.
“Una terribile eredità” è scritto come un diario - il diario di una lunga stagione all’inferno senza ritorno -, il diario di un cannibale seriale e sentimentale (bulimico di bambini, per di più) che in maniera affatto secondaria racconta anche dell’Avana, dei suoi barrio (miserevoli, incantati e incantatori) e della sua cultura; di anime perse e di Fidel, di fame e di sete, d’amore e di morte, di ferite di guerra e ferite dell’anima. Il cannibale non è cattivo-cattivo (è anzi un character alquanto sfaccettato), a suo modo è una vittima (di guerra), un malato, un uomo sconfitto dalla vita, un reduce dell’Angola dove ha combattuto senza capire bene per chi e dove ha “contratto” il gusto della carne umana, quella dei suoi commilitoni morti di cui ha dovuto cibarsi per sopravvivere al deserto. Il cannibale è anche l’io-narrante della storia, così che - diavolaccio d’un Lupi, scrittore nero pece consumato - non dico che quasi quasi finisci per tifare per lui ma insomma, se non altro ti ci affezioni.
“Sono un uomo che ha mangiato i compagni nella guerra d’Angola, ma sono anche quello che la stampa ha chiamato ‘Il cannibale di Casablanca’. Uno che mangiava bambini per le strade dell’Avana”
Si presenta in questo modo l’antropofago, nella prosa piana, asettica (nel senso di a-morale, dato il tema) e affilata che gli ha imprestato Lupi. Di qui in avanti il lettore non avrà scampo, nemmeno fosse l’incipit del più crudele degli horror - il che non è -, arrivo a dire anzi che questo romanzo non appartiene a nessun genere, nel senso che ne evoca e ne declina diversi in poco più che centoventi pagine: c’è il thriller e il docu-fiction, ci sono il racconto bellico e quello esotico, l’auto-fiction sentimentale e quella esistenziale. Davvero tanta carne al fuoco per un libro solo, se mai conviene tirare in ballo la carne in un romanzo in cui si tratta anche di cannibalismo.
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