Frankenstein a Baghdad
- Autore: Ahmed Saadawi
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2015
“La violenza non è ragione, non ha mai ragione”
Cosa succede quando un’anima senza corpo incontra un corpo senz’anima? Creano una non-vita. La risposta potrà sembrare ermetica, ma sarà chiarita nelle pagine di “Frankenstein a Baghdad” (Edizioni e/o, 2015), romanzo dell’iracheno Ahmed Saadawi che prima di approdare sugli scaffali italiani, a fine settembre, per i tipi e/o (352 pagine 18 euro), è diventato un caso nel mondo arabo. Ha sconvolto lo scenario classico della letteratura mediorientale, fin qui riassunto dal motto:
“L’Egitto scrive, il Libano pubblica, l’Iraq legge”
Al suo autore è stato riconosciuto a furor di giuria, nel 2014, il più prestigioso premio internazionale per la fiction in lingua araba: l’IPAF o Arabic Booker.
Entriamo con Saadawi nel popoloso quartiere al-Bataween della capitale irachena, liberata due anni prima dalle truppe della coalizione alleata. La città risuona di esplosioni, sirene, urla. L’Amministrazione del dopo Saddam sostenuta dagli USA è soddisfatta: solo quindici attentati in quella giornata della primavera 2005, un successo, secondo il portavoce governativo: al Quaeda ne aveva annunciati cento nelle 24 ore. Le forze dell’ordine hanno saputo sventarli.
Nel rione, tutti pensano che Elishua sia una donna benedetta e che basti la sua presenza per allontanare il pericolo. Tutti, tranne due persone: il sensale di appartamenti e lo straccivendolo, frustrati dall’ostinazione dell’anziana di non rinunciare alla grande casa dove vive da sola e ai tanti oggetti inutili che la riempiono. La considerano “una svitata senza rimedio”.
Hadi, il robivecchi, puzza di alcol, è sporco e bipolare. In pubblico, racconta storie bizzarre e ride. Quando resta solo, indossa l’altra faccia, il volto avvilito e imbronciato che nessuno conosce. Soprattutto, raccatta pezzi di resti umani nei luoghi degli attentati, spinto da un senso di rispetto per i cadaveri che meritano l’attenzione dei superstiti, invece di essere lasciati in strada e trattati come spazzatura.
È diventato un rigattiere di corpi. In un capanno di legno, arrangiato con rottami vari dietro la catapecchia, sta ricostruendo una salma enorme, con frammenti organici di provenienza diversa. Il più recente è un naso, trovato dove è esplosa un’autobomba. Lo ha suturato al centro del volto del cadavere maschile, in una parte tutta deturpata. Dal corpo gocciola un liquido vischioso, di colore chiaro. Non c’è tanto sangue, giusto qualche macchiolina di rosso rappreso sulle braccia e sulle gambe. Parecchi lividi ed escoriazioni azzurrognole risaltano dalle spalle alla nuca. Il colore dell’insieme non si capisce e comunque non sembra omogeneo.
È fuori di dubbio l’assenza nel soggetto composito della minima scintilla vitale. Ma non è detto che debba restare così. A Baghdad, la morte e la vita sono in continuo rivolgimento.
Di lì a poco, un kamikaze sudanese tenta di penetrare in un albergo alla guida di un camion rubato alla nettezza urbana. Viene fermato dalle raffiche di un addetto alla security, il ventunenne Habib, che colpendo il detonatore provoca l’esplosione del mezzo fuori della hall, limitando i danni progettati dagli attentatori, ma restando ucciso.
Lascia moglie e figlioletta neonata. Lascia anche la sua salma, vaporizzata nell’esplosione. Ma la sua anima non abbandona il mondo e vaga per Baghdad.
Per farla breve, entra nel corpo ricomposto da Hadi, lo rianima in una non-vita, appunto, diventa una sorta di golem che prende a vendicarsi di chi terrorizza l’Iraq e va ad alloggiare in casa della vecchia Elishua, che lo scambia per suo figlio, morto venti anni prima nella guerra contro l’Iran. Il caduto non era mai stato ritrovato e lei ha sempre atteso il suo ritorno.
Il romanzo paradossale “Frankenstein a Baghdad” di Ahmed Saadawi si avvia verso una sequenza di violenza e vendetta, terrorismo e giustizia, in un misto di critica politica e satira sociale, di condanna e immaginazione. Il cadavere non vivente che agisce e colpisce è il milite ignoto del terrorismo, una salma sintesi di altre salme dei caduti di una guerra asimmetrica.
Tra horror e denuncia, tra violenza esponenziale e fantasia macabra, il romanzo iracheno scende da un altro versante. Il golem-Frankenstein, melange di cadaveri, comincia a rivolgere la sua attenzione vendicativa anche contro gli innocenti. A dimostrare che la violenza non è ragione, non ha ragione.
Frankenstein a Baghdad
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