Franz Kafka e la sfinge del potere
- Autore: Fabrizio Sciacca
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2024
Il 3 giugno saranno cento anni tondi. Un secolo esatto dalla morte di Franz Kafka. Si attendono per l’occasione sacrosante professioni di fede. E fiumi di parole: scritte, dichiarate, dette-ridette, a ispessire l’agiografia che elegge lo scrittore praghese a tautologia di se stesso: Kafka è Kafka.
A dispetto dell’aggettivo “kafkiano” che gli discende, assegnato qua e là con colpevole leggerezza. Per dirla in altro modo, Franz Kafka - pensatore-scrittore-uomo-genio – è rimandante solo a sé stesso. Noumeno di labirinti visionari e perdite/recuperi di senso, nei quali l’autobiografismo trasfigurato diventa parabola al confine con il metafisico.
L’approccio filosofico è perciò forse lo strumento più idoneo per approcciare il microcosmo sfuggente dello scrittore.
Proprio la lente della filosofia costituisce il focus attraverso cui Fabrizio Sciacca - in Franz Kafka e la sfinge del potere (Mimesis, 2024) – ne ripercorre vita e topoi letterari. A partire da un assioma sul carattere: l’ambivalenza sentimentale sviluppata nei confronti del padre riverbera, negli scritti di Kafka, nel senso di colpa e nelle sfaccettate declinazioni del Potere (legge, diritto, giustizia, autorità, politica, religione).
Una vocazione anti-autoritaria, quella dell’autore praghese, più esistenziale che politica (Lowy), e fermo restando l’invito di Walter Benjamin alla prudenza: tra le pagine delle opere di Kafka occorre addentrarsi, cioè, coi piedi di piombo; fuorviante corteggiare conclusioni di carattere univoco.
In quanto Kafka è anche, in primo luogo, estensore di verità relative, del dubbio in sé. Al netto della copiosa bibliografia che lo riguarda, e forse anche delle sue opere, di lui sconosciamo e conosciamo poco, e comunque mai fino in fondo. Di Kafka ci pervengono soltanto memorie parziali, le fonti indirette dettate dai suoi contemporanei.
È forte di questa ulteriore consapevolezza che Fabrizio Sciacca (professore ordinario di Filosofia Politica presso l’università di Catania) si muove - e ci guida - all’interno della cristalleria labirintica dell’universo – politico, esistenziale e filosofico - kafkiano.
Sostiene l’autore nella premessa:
Ci illudiamo che esistano azioni governate dalla logica o dalle regole, lottiamo per esse, talvolta – o più grottescamente, per trasgredirle o combatterle. Ecco: per chi scrive, questa apertura è lo sfondo migliore per parlare di Kafka. Eppure Kafka ha parlato di regole e normatività, e ciò ha stimolato ogni curiosità. La mia idea è che di Kafka si deve accettare una pre-comprensione: che le regole del mondo esistono, ma non riescono a regolare nulla.
Filtrata da quest’ottica filosofica, l’analisi di Sciacca si evolve dunque a partire dalla singolarità con cui l’autore concepisce la Legge e le sue derivazioni. Immune com’è al suo contagio. Relativo com’è a “sé stesso” e al sociale.
Un essere Kafka-uomo-insetto-cane-scrittore mutevole, contraddittorio, e comunque attratto da “mondi non impuri”.
È da qui che si perviene allo snodo fondativo dell’indagine di Sciacca: sgravata da un’assunzione fideistica e sovrastrutturale del Potere, l’essenza di Kafka va rintracciata proprio nel controverso, nell’indeterminato, nel dubbio.
Il saggio è di taglio accademico, ma affatto polveroso. Piuttosto un’inquadratura ulteriore, densa e puntuale dello specifico kafkiano.
Franz Kafka e la sfinge del potere
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