Frecce dal cielo 1914-1918
- Autore: Giovanni Dalle Fusine, Alessandro Gualtieri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
“Frecce dal cielo”, il titolo farebbe pensare alle guerre indiane nell’epico Far West dei pionieri, ma l’aggiunta in copertina, a caratteri più piccoli, degli anni di riferimento, 1914-1918, sorprenderà più d’uno dei lettori. Si tratta di un breve ma interessante lavoro di Giovanni Dalle Fusine e Alessandro Gualtieri, curatori di un testo dato alle stampe nel 2016 dalle edizioni Atelier Grafico, di Schio, nella collana di studi sulla Grande Guerra I Recuperanti (106 pagine, 13 euro).
In poco più di cento pagine e con un ottimo corredo fotografico, i due curatori documentano un aspetto poco conosciuto di un conflitto che, ad un secolo di distanza, non smette di sorprenderci. Nell’immaginario sono rimasti, non a torto, le trincee, il filo spinato, gli scoppi di granate, anche quelle immani da 400 kg, i rosari di mitragliatrici sgranati alla cadenza impressionante di 500 colpi al minuto, gli scontri feroci corpo a corpo, a colpi di baionetta, vanghette e bastoni ferrati. Ma quei poveri fanti dovettero subire anche l’offesa dall’alto di semplici, ma micidiali dardi di metallo, che precipitavano su uomini e animali per gravità, sganciati dal fondo dei velivoli.
Retaggi di conflitti primordiali queste freccette o meglio “flechette”, perché adottate dai francesi per primi, armi da scontri tribali riscoperte nella prima grande guerra di materiali della storia dell’uomo, con l’obiettivo banale e atroce di arrecare più danni possibile all’avversario impiegando mezzi limitati.
Merito dei due studiosi l’aver approfondito questo curioso e insolito argomento. Dalle Fusine è un pubblicista e consulente storico vicentino, esperto negli armamenti del primo conflitto mondiale, lo straordinario epos moderno che da anni vede attivo Gualtieri, ricercatore appassionato di livello europeo. Non si contano i suoi contributi, libri e pubblicazioni.
Lo studio delle barrette e dei dardi è nato dalla curiosità generata dal ritrovamento diretto sull’Altipiano di Asiago, negli anni Settanta, di una specie di chiodo arrugginito, lungo una quindicina di centimetri e certamente realizzato con una certa attenzione industriale, viste le fresature regolari a circa metà della lunghezza.
Una maggiore competenza storica acquisita col tempo e qualche analogo incontro nelle bacheche dei musei di guerra hanno suggerito molti anni dopo di tornare sul posto con un cerca metalli. Nell’area risultarono disseminate dozzine di quegli oggetti, certamente residuati bellici. Risultato dell’ulteriore scoperta è appunto questa ricerca.
Scenario del ritrovamento erano i pratoni dell’Altopiano dei Sette Comuni, nel Vicentino, ma non solo gli Austriaci e gli Italiani fecero uso di quell’arcaico e comunque insidioso strumento offensivo, ne abusarono tutte le aviazioni militari, dall’una e dall’altra parte tra Intesa e Imperi centrali, a cominciare dai Francesi, come si è detto.
Trasportate sugli aerei in confezioni di quantità variabile (in genere 500 pezzi), le freccette venivano fatte precipitare per saturare il suolo sottostante, nel quale erano stati avvistati appostamenti di truppe o reparti in movimento. Le fresature elicoidali centrali servivano a stabilizzare il “chiodo”, per favorire la caduta verticale e consentire alle punte acuminate di provocare il massimo danno al bersaglio.
Pur antiquate come mezzo d’offesa, le freccette risultavano a buon mercato e dopotutto riflettevano la fase pionieristica dell’aviazione internazionale. Tutti entrarono in azione con pochi velivoli, ma fecero passi da gigante: dai 500 complessivi dell’estate 1914, ai 12mila di tutte le flotte aree del 1918, ma all’inizio del conflitto, gli aerei avversari duellavano con pistole e fucili. Un pilota russo tentò addirittura di impiegare un grosso uncino per arpionare l’avversario. Tecnica arrischiata e autolesionistica, in confronto alla quale la flechette diventa un’arma moderna.
E pensare che c’è stato chi ha dubitato dell’efficacia mortale dei dardi, ma ogni confezione poteva coprire più di 400 metri quadrati di suolo. Un corrispondente di guerra descrisse la morte immediata e atroce di una grossa vacca: le carni lacerate atrocemente da tre freccette. Studi francesi avevano verificato che, nel corpo di un soldato in piedi, potevano conficcarsi fino ai polmoni. E non c’era elmetto d’acciaio che tenesse: veniva inesorabilmente sfondato. Qualcuno suggerì ai fanti tedeschi di stendersi a terra, per cercare di ridurre la profondità dei tessuti eventualmente attraversati. Meglio feriti che morti, anche se l’obiettivo nemico sarebbe stato ugualmente e più cinicamente conseguito: un soldato da curare impegna più risorse di uno da inumare.
Oltre che sulle lesioni provocabili, gli autori si soffermano sui dati tecnici: sagome, modalità di espulsione e velocità di caduta. Offrono anche testimonianze preziose dei protagonisti.
Alcune pagine sono dedicate agli aeroplani più in uso nel corso della Grande Guerra, con sintetiche schede tecniche e immagini in bianconero.
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