Gente a cui si fa notte inanzi sera. La pena di morte nella storia
- Autore: Tito Saffiotti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
In Arkansas è stabilito dalla legge: ogni condanna a morte deve avere almeno sei spettatori che non abbiano rapporti di parentela con il condannato, o con le persone da lui uccise. Il pubblico serve a testimoniare che l’esecuzione abbia lo svolgimento previsto dalla legge: quando si dice giustiziare senza lasciare nulla al caso. È una sorta di retaggio storico: le esecuzioni capitali hanno rappresentato (rappresentano?) nei secoli l’evento social-spettacolare per eccellenza. Un bagno di folla garantito, che si tratti di impiccagioni (per lo più), roghi, impalamenti, squartamenti, l’esecuzione delle condanne a morte era un evento pubblico, consumato secondo stazioni pre-stabilite. La redenzione forzata del condannato (spesso estorta a via di torture), il corteo che lo accompagna al patibolo (soldati, carnefici, religiosi), quindi i freddi preliminari dell’esecuzione eseguiti dal boia e dai suoi “tirapiedi”, che dovevano stare attenti dall’infliggergli sofferenze non previste dalla pena. Le cronache dell’epoca raccontano di suddetti carnefici presi a sassate per il protrarsi, causa imperizia, dell’agonia del condannato (va bene il voyeurismo di massa, ma fino a un certo punto). “Gente a cui si fa notte inanzi sera” (Book Time, 2018) è un bel titolo, aulico ed efficace. Rimanda a un verso di Francesco Petrarca che nulla ha a che vedere col cinismo del proverbio francese:
Quando si viene impiccati, non si tratta d’altro che di un collo storto e di un paio di brache bagnate.
Per chi fosse digiuno del verseggiare petrarchesco, il giornalista-scrittore Tito Saffiotti lo correda di sottotitolo esplicativo: “La pena di morte nella storia”, recita. Il saggio è fedele a entrambi (titolo e sottotitolo): una spoon river di giustiziati nel corso del tempo (tanti, troppi; giustiziati celebri come Beatrice Cenci, e meno celebri, come qualcuno rimasto anonimo), con il sostegno e il valore aggiunto delle fonti, mutuate dai cronisti dell’epoca: al netto del distacco dello storico, una puntualità descrittiva da lasciare sgomenti (vedi il “caso” della Duchessa del Friuli Romilda, impalata a Cividale nel 610 d.c. Una lettura quasi insostenibile, se si pensa trattarsi di cronaca vera).
Come specifica l’autore:
In questo nostro lavoro abbiamo cercato, per quanto ci è stato possibile, di tenere lontano visceralità e moralismi, abbiamo preferito far parlare i documenti e le immagini (…) con tutta la forza della loro evidenza. Lo spettacolo della morte, così come quello della sessualità, suscita emozioni forti, che devono essere tenute a freno dalla storico. Bisogna poi reprimere il gusto amaro del raccapriccio, il biasimo, le reprimende o, nel caso, le approvazioni entusiastiche. È bene ricordare che vedere puniti i malfattori (o i presunti tali) ingenera in molti di noi una sordida ma difficilmente reprimibile, soddisfazione. È come se nella vittima vedessimo tutti coloro che ci hanno arrecato danno o dolore, ma in realtà, se ci si pensa bene, è solo un modo per gratificare la nostra fragile virtù
(pag. 7).
Oppure - la psicanalisi mi sembra possa insegnarlo - si tratta di un atto inconsciamente esorcistico: si uccide il colpevole illudendosi di uccidere la parte meno governabile di noi stessi. In ultima analisi, “Gente a cui si fa notte…” è un saggio puntuale, che può (e dovrebbe) anche fare riflettere.
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