La poesia Giorno dopo giorno di Salvatore Quasimodo fu composta nel cuore della Seconda guerra mondiale, ma dischiude un ventaglio di immagini potentissime - così simili a quelle che scorrono tutti i giorni sui nostri schermi, sui nostri telegiornali - tanto che potrebbe essere stata scritta ieri. “Alzeremo tombe in riva al mare”, scrive il poeta premio Nobel in questi versi e a noi la sua intuizione appare come una drammatica profezia.
Certo non poteva saperlo, Salvatore Quasimodo, che le sue visioni si sarebbero intonate anche alla prospettiva di un futuro all’epoca ancora remoto. Non poteva saperlo, ma forse lo presentiva che l’umanità - da lui descritta con accenti drammatici “vi riconosco miei simili mostri/della terra” non sarebbe cambiata.
In questa lirica, che dà il titolo all’omonima raccolta Giorno dopo giorno (Mondadori, 1947), troviamo un significativo cambiamento di stile nella poetica di Quasimodo che segna il passaggio dall’ermetismo alla poesia civile e impegnata. Da uomo del proprio tempo in questa poesia Quasimodo commenta il secolo in cui sta vivendo: un secolo atroce di guerra e di morte, che sembra aver perduto il senso della pietà. Rimpiange i tempi della poesia epica, Quasimodo, ricordando che per Omero la guerra aveva ancora degli accenti eroici, mentre ora le gesta dell’epos si sono perdute e rimane solamente un agghiacciante scenario di morte.
Ma il poeta parte da quella prospettiva luttuosa - “con noi la morte ha più volte giocato” - per parlare di vita. In quest’ottica i versi del poeta di Ed è subito sera appaiono sempre declinati al presente.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
“Giorno dopo giorno” di Salvatore Quasimodo: testo
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l’oro. Vi riconosco, miei simili, mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà
e la croce gentile ci ha lasciati.
E più non posso tornare nel mio eliso.
Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati
ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha più volte giocato:
s’udiva nell’aria un battere monotono di foglie,
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.
“Giorno dopo giorno” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
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In questi versi Salvatore Quasimodo sembra ritrarre uno scenario apocalittico, descrivendo un’umanità dominata da pulsioni violente e desiderio di ricchezza (il sangue e l’oro, Ndr). Nell’infuriare della guerra, dice il poeta, l’umanità ha perduto la pietà: i suoi simili sono diventati “mostri della terra”, come li descrive efficacemente mediante un’immagine figurata che ben racchiude la sempiterna espressione hobbesiana homo homini lupus, ovvero “l’uomo per l’uomo è un lupo”.
Alla stregua del filosofo Thomas Hobbes, Quasimodo mette in primo piano il problema della pace.
Rivendica il fatto di non poter più tornare al suo “eliso”, perché i tempi in cui i poeti cantavano le gesta eroiche della guerra sono finiti. Il poeta non è più incoronato dagli allori come un Dio, ha perduto il suo paradiso. In questa guerra, ribadisce l’autore, non ci sono eroi - ma solo “tombe in riva al mare” (una visione funerea che ricorda l’atmosfera dello sbarco in Normandia e oggi potrebbe essere equiparato alla moderna migrazione), e campi dilaniati, un efficace immagine che ribadisce il sangue umano versato durante la guerra: sono i cadaveri dei soldati a essere dilaniati dall’artiglieria, ma in questo contesto Quasimodo sembra evocare la ferita inferta al mondo, attraverso i campi intrisi di sangue.
Nei versi finali Quasimodo accosta le immagini attraverso un’analogia di movimento: la morte gioca con gli uomini così come il vento con le foglie, che si accorda al volo della folaga (specie di uccello acquatico, Ndr) che al primo vento di scirocco vola via dalla palude. In questa similitudine conclusiva sembra di veder evocato un presagio: l’uccello che vola verso il cielo così come l’umanità si dirige, ineluttabilmente verso il proprio destino. Nella poesia di Eugenio Montale la folaga rappresenta un presagio funebre, come è ripreso ne La Bufera e altro (1957), “Voce giunta con le folaghe” in cui l’ombra del poeta si ricongiunge con quella del padre morto.
Non si tratta di una poesia tragica, in verità, perché Quasimodo descrive la disumanità della guerra per chiamare l’umano a reinventarsi e ad emanciparsi dalle leggi della violenza. Ciò che il poeta auspica infine è un mondo di pace, in cui l’uomo non sia più dominato dagli istinti bestiali che lo rendono appunto un “mostro della terra”.
Oggi, purtroppo, rileggiamo Giorno dopo giorno come un’amara profezia della realtà contemporanea: forse l’uomo non impara nulla dal passato, non assolve i propri peccati, non si redime, come si augurava il poeta. Però possiamo continuare a leggere queste parole come un monito, come un’ode civile destinata a un’umanità non ancora estinta. Il proposito di “rifare l’uomo” va tenuto vivo, e le parole di Salvatore Quasimodo ci parlano di un’utopia, dopotutto, ancora possibile.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Giorno dopo giorno”: la poesia di Salvatore Quasimodo che parla al nostro presente
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