Giufà: il furbo, lo sciocco, il saggio
- Autore: Francesca Maria Corrao
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mondadori
Chi è stato Giufà, tanto radicato nell’immaginario popolare di Sicilia? È possibile fare riferimento a una univoca definizione? Non c’è dubbio che il personaggio appartenga alla società contadina della cultura orale.
Tramandato di generazione in generazione, ha acquistato una diffusa popolarità e può dirsi che pirandellianamente convivano in lui molti volti, tra cui lo sciocco e l’astuto; un mariuolo e un giocorellone; il saggio e il profittatore; l’ingenuo e lo stupido. Francesca Maria Corrao nell’introduzione al suo volume Giufà: il furbo, lo sciocco, il saggio (con una prefazione di Leonardo Sciascia, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1991) si intrattiene su una proposta etimologica alquanto interessante, precisando che in arabo il nome significherebbe colui:
Che cammina frettolosamente o le cui azioni non si basano su considerazioni dettate dal raziocinio.
Quindi, Giufà agisce per cieco istinto al punto da non riuscire a compiere una valutazione responsabile del suo comportamento. A dirla con Sciascia, parrebbe “divinamente incauto” e un esemplare di superficialità. Secondo la studiosa, convivono in lui astuzia e stoltezza. In merito, specifica:
È possibile intravedere un’altra qualità: la metìs. Le sue azioni, come quelle di Hermes, della volpe o di Ulisse, sembrano guidate da quel tipo di intelligenza astuta, la metìs, che dà a chi la possiede la capacità di affrontare l’imprevisto senza lasciarsi cogliere dal repentino mutare delle circostanze. L’uomo dotato di metìs agisce per travestimenti, e la sua forza è basata sull’astuzia e sull’inganno: così l’arma di cui si avvale il debole per sconfiggere il forte è quella rapidità di pensiero che permette a Ğuhâ di risolvere a proprio favore le situazioni più disparate. Apparire stolto o asserire di essere pazzo è un espediente a cui non poche figure eroiche, sia mitiche che letterarie, hanno fatto ricorso per ottenere il successo nelle loro imprese [...] Ğuhâ opera capovolgimenti e trasgressioni in ogni campo: egli stravolge puntualmente qualsiasi ordine che sia vissuto come valore acquisito della realtà in cui agisce. […] Ğuhâ non è sempre cosciente delle sue trasgressioni, può anche capitare che le sue azioni siano frutto di distrazione. […] È interessante notare come talvolta sia la stessa stoltezza a salvare il nostro eroe.
Egli è dunque un anarchico, giacché non si riconosce in alcuna norma; ignora gli obblighi; manca di un benché minimo rapporto con la realtà; escogita qualsiasi stratagemma pur di non lavorare o scansare ogni fatica ed è irriverente contro le gerarchie ecclesiastiche.
È soprattutto favorito dalla fortuna, pur non avendo coscienza del suo agire, oppure dalla madre che deve sempre escogitare strategie a tutela delle sciocchezze commesse dal proprio figlio. Rileva Sciascia che la scampa sempre per delle circostanze casuali a lui favorevoli oppure perché aiutato dalla madre, in particolare. In definitiva, le sue qualità umane contrapposte, gli permettono di districarsi nel labirinto del mondo. Spiega la studiosa:
Conosce il labirinto e la sua funzione di indicarne, di volta in volta, la via d’uscita. Dietro alla sua stoltezza si cela un’intelligenza pratica che, procedendo obliquamente, conduce alla meta per la via più breve, la deviazione. Gli stratagemmi che escogita sono imprevedibili proprio perché la sua logica non procede in modo lineare e conseguente. […] Ğuhâ si mostra sempre per quello che non è e lascia il dubbio che sia quello che non appare.
In sostanza, disvela Giufà arguzia e candore: maschera dello stesso uomo, del teatro di un mondo dove l’imbecille non è tale, ma un profittatore che sa cavarsela da scomode situazioni e trarne il proprio utile. La ricerca di una soluzione è sempre a suo vantaggio fino alla libertà da ogni regola di comportamento. Le azioni sono quelle dello sciocco privo di memoria e consapevolezza, ma da esse puntualmente derivano vantaggi quale per esempio l’impunità.
Alla fine ce l’ha sempre vinta grazie alle sue arguzie. Giufà, che “vive in Sicilia al tempo degli arabi”, è un eterno fanciullo dal candore immaturo. Fa ridere o arrabbiare, ama gironzolare per le strade del paese ed è la disperazione della madre. Poveretta, vedova di un uomo poco meno stupido del figlio, va in cerca di lui e lo trascina con sé per riportarlo in casa.
Una novella degna di attenzione, il cui testo per la studiosa è presente nella cultura siciliana attribuito a personaggi stereotipi di Giufà, si intitola Il giudizio dell’asino: vi si narra che un vicino di casa, un giorno, chiese a Giufà di prestargli il suo asino. Dopo qualche esitazione, questi entra in casa e subito dopo spiega al vicino di essere spiacente, giacché l’animale non ha accettato la richiesta avanzata. Pertanto, si rifiuta di venire con lui.
Ecco la spiegazione fornita dall’asino:
“Servo la gente, porto i loro pesi e in cambio non ricevo che botte e imprecazioni!”.
Il vicino, rimanendo stupito, chiede:
Da quando in qua gli asini parlano ed esprimono la loro opinione?
La risposta di Ğuhâ non si fa attendere:
Il mio asino non vede e non sente, ma quanti asini parlano ed esprimono giudizi?.
L’astuzia di Giufà per sottrarsi a una sua decisione – quella di non volerlo dare in prestito - lo induce così a trovare uno stratagemma: dare all’asino la possibilità di esprimere il proprio diniego. Non solo! Egli riesce ad attualizzare l’episodio, evidenziando tutti quegli asini che hanno la presunzione di parlare e di estendere giudizi.
Sulla sua riluttanza a prestare il proprio asino, è la stessa Corrao a dare una spiegazione:
L’asino è l’amico inseparabile che lo accompagna in molte avventure: è significativo notare come questo animale, sin nei miti più antichi, sia simbolo di stoltezza, ma al tempo stesso rappresenti la forza di sopravvivenza e la capacità di adattamento. E sono proprio queste qualità a farne il compagno più congeniale al nostro eroe. Lo stolto gli è tanto affezionato che preferisce fare la strada a piedi piuttosto che perderlo (Gli asini di Ğuhâ) e alla sua morte piange più di quando era rimasto vedovo (Nasreddin Hoca, l’asino e la mogli).
La novella Ğuhâ e il giusto è emblematica della metìs, ponendo in evidenza il Giufà, difensore dei deboli rispetto ai soprusi dei forti: vi si narra di un poveretto che, affamato, passò davanti alla porta di un rosticciere che stava cucinando della carne; comprò una pagnotta e per gustarla con l’odore dell’arrosto, si sedette accanto alla rosticceria. Il rosticciere, accortosi di ciò, gli chiese il pagamento dell’odore. Rifiutatosi il povero di pagare, fu condotto dal giudice Ğuhâ, riferendogli l’accaduto.
La conclusione mostra l’astuzia nel dirimere la controversia a favore del pover’uomo. Ğuhâ domandò quante piastre volesse per l’odore dell’arrosto e il rosticciere rispose: “cinque piastre!”. Tirata fuori una moneta d’argento da cinque piastre, dopo averla fatta tintinnare sulla lastra di marmo, gli chiese se avesse sentito il tintinnio del denaro. Il rosticciere assentì.
Ed ecco la sentenza di Ğuhâ il giusto:
Bene, prendilo ! Questo è il prezzo per l’odore del tuo arrosto.
L’astuzia è sì la qualità generalmente adoperata per trarre un profitto personale, ma nel contempo si rivela come un espediente col quale si mette in atto una saggia generosità contro il potere, principalmente.
Tante le storie sapientemente raccolte dalla Corrao, che meriterebbero ciascuna un puntuale commento, e tante le sfaccettature di Giufà, il cui comportamento è dettato da una sorta di ossimoro. Appunto: “lo sciocco, il furbo, il saggio”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giufà: il furbo, lo sciocco, il saggio
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