Gli italiani di Crimea. Dall’emigrazione al gulag
- Autore: Heloisa Rojas Gomez
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
La Crimea è una terra in cui si sono avvicendati un gran numero di popoli diversi: tauri, cimmeri, sciti, greci, bizantini, ebrei, armeni, genovesi, tatari, russi... Eppure nessuno di questi ha monopolizzato la penisola sino a imprimerle una definitiva omogeneità culturale, ognuno ha lasciato la sua traccia e i retaggi si sono sommati. Questa regione ha un legame antico con l’Italia e, oltre ai già citati genovesi, sin dal medioevo i suoi lidi hanno attratto anche i mercanti veneziani, che con i liguri si sono scontrati a livello commerciale e politico.
Il dominio di Genova in Crimea cessò di esistere nel 1475, con la conquista turca, ma le genti italiane tornarono insieme all’espansione russa, che strappò questa provincia agli ottomani nel 1783. Iniziò così il trasferimento di alcuni gruppi di famiglie prevalentemente pugliesi e liguri nelle città crimeane, poi intensificatosi durante l’Ottocento, che ha portato alla nascita di una comunità i cui discendenti vivono ancora oggi soprattutto nella zona di Kerč’.
Purtroppo nel nostro paese è ancora troppo poco l’interesse mostrato verso questa dimenticata minoranza, tuttavia nel 2021 la ricercatrice Heloisa Rojas Gomez ha cercato di rompere il silenzio con un nuovo contributo: Gli italiani di Crimea. Dall’emigrazione al gulag, pubblicato dalla casa editrice goriziana LEG e frutto di cinque anni di duro lavoro.
La studiosa ricorda che Odessa è stata fondata nel 1794 su un precedente centro tartaro (Khadjibey) e che i lavori per la costruzione di quel baluardo russo sul Mar Nero furono voluti e organizzati da un emigrato italiano: Giuseppe De Ribas (1749-1800), figlio di un diplomatico spagnolo naturalizzato napoletano:
“De Ribas non si limitò a “costruire” Odessa, ma diede un importante contributo anche nel popolarla. Infatti, grazie al suo legame con Napoli, egli promosse scambi e migrazioni dei suoi conterranei verso quelle coste”.
Il milieu culturale italiano e napoletano a Odessa rimase a lungo così vitale che, sorprendentemente, proprio in quella città è nato uno dei simboli più famosi dello stivale, la canzone O Sole Mio:
“La storia narra che, nell’aprile del 1898, Eduardo Di Capua [1865-1917] era a Odessa, in tournée con la compagnia musicale di suo padre, quando compose la canzone italiana per eccellenza, ispirata dalle albe pittoresche sul Mar Nero e dalla nostalgia per Napoli”.
L’autrice ricostruisce i rapporti intercorsi tra il Regno delle Due Sicilie e l’Impero Zarista, le difficoltà incontrate da contadini e marinai latini giunti in Russia per cercare fortuna e il proseguimento dei flussi migratori dall’unità d’Italia all’inizio del Novecento, quando a Kerč’ gli immigrati italici arrivarono ad avere una chiesa cattolica, una scuola e un’associazione. Dopo la rivoluzione russa l’italianità non fu più supportata dal governo di Roma e dalla Chiesa, ma passò nelle mani dell’URSS che in conformità alla sua politica di korenizatsija (“nativizzazione”) permise alla comunità di conservare la sua lingua e i suoi usi e costumi. Sotto il regime comunista la popolazione italica si assottigliò, ma la situazione dei nostri conterranei precipitò drammaticamente tra il 1935 e il 1938 quando alcuni tra essi, sospettati di sostenere il fascismo, finirono nel vortice delle purghe staliniane, venendo deportati o uccisi. Chi non rimase vittima di questi primi rastrellamenti venne comunque deportato nel gennaio del 1942 e trasferito (nella maggior parte dei casi) in Kazakistan, azione messa in atto come rappresaglia contro l’invasione italiana dell’Unione Sovietica.
Nonostante l’oppressione e le sofferenze a cui sono stati sottoposti, nella seconda metà degli anni ’50 alcuni esuli sono riusciti a tornare in Crimea, mentre altri si sono rifatti una vita in Russia, in Kazakistan o in Uzbekistan, ma in Italia la loro storia è rimasta a lungo ignorata.
I governi ucraini che si sono succeduti dalla fine dell’Unione Sovietica al 2014 non hanno mai riconosciuto agli italiani lo status di popolazione vittima di persecuzioni e solo con il ritorno dei russi la minoranza ha iniziato a vedere il pieno ristabilimento del suo onore.
Silvio Berlusconi è stato il primo politico occidentale a visitare l’indipendente Repubblica autonoma di Crimea e in quell’occasione ha discusso con Putin riguardo la questione degli italiani. Incontrando “il suo amico Silvio”, il capo di stato russo ha sfogliato con grande interesse il catalogo della mostra dedicata alla comunità crimeana, ha appreso così dell’esistenza di quella sfortunata popolazione e ha subito dichiarato che il vuoto doveva essere colmato:
“Egli promise il riconoscimento ufficiale della comunità italiana come minoranza oppressa dal regime sovietico. Così, l’indomani, il 15 settembre 2015, con il decreto presidenziale 458 sulla Riabilitazione dei Popoli Repressi (2015), assieme agli armeni, bulgari, greci, tatari e tedeschi venivano menzionati anche gli italiani. Sebbene il riconoscimento ufficiale dell’oppressione e dunque della sofferenza collettiva fosse il maggior desiderio dei sopravvissuti italiani alle deportazioni e dei loro discendenti, il lavoro non finiva lì. Infatti quello era solo il primo passo per far riacquistare alla comunità la dignità a lungo negatale”.
Una dignità che è stata riconosciuta da Mosca, ma non dal governo italiano, che per motivi geopolitici ha preferito continuare a tacere: “Questa è l’Italia, l’Italia matrigna” accusa la scrittrice:
“E il paradosso è che ha fatto di più Vladimir Putin con il riconoscimento dello status di minoranza deportata e perseguitata di quanto abbia mai fatto un qualunque governo italiano nel corso degli ultimi 30 anni, da quando cioè si è dissolta l’Unione Sovietica.”
Per giunta, la Russia ha riconosciuto la C.E.R.K.I.O., ossia la “Comunità degli Emigrati in Regione di Krimea - Italiani di Origine”, come interlocutore ufficiale, mentre l’Italia (per sudditanza politica) ha evitato accuratamente ogni contatto. Questo comportamento basta da solo a far emergere tutta l’ipocrisia dei politici progressisti, che ambiguamente si pongono come bardi della memoria e difensori di tutte le minoranze.
Da quando è iniziato il conflitto ancora in corso in Ucraina nessun giornalista ha voluto informarci sulla situazione presente degli italiani di Crimea, l’ultimo messaggio dell’Associazione Cerkio sulla sua pagina Facebook ufficiale risale al 24 febbraio di quest’anno, si chiede di non polemizzare, ma il momento è gravissimo:
“Qui a Kerch siamo molto preoccupati ma finora è tutto tranquillo e i nostri parenti nel Donbass si erano già da tempo spostati altrove”.
Quali potrebbero essere le conseguenze per la comunità nello sciagurato caso di un’avanzata dei nazionalisti ucraini?
Oggi gli italiani della Crimea sono toccati da un’altra disgrazia, per loro non sembra esserci pace, ciò che concretamente può fare chi vive nella terra dei loro padri è informarsi e studiare la loro storia, raccontata in maniera encomiabile da Heloisa Rojas Gomez nel suo commovente e ricco volume che a documenti d’archivio, libri e memorie unisce l’imprescindibile fattore umano dell’incontro con i superstiti. C’è da augurarsi che in tempi migliori, di unità e di pace, la dottoressa possa continuare a portare alla luce altre testimonianze che arricchiscano questo argomento ancora colpevolmente poco considerato.
Gli italiani di Crimea. Dall'emigrazione al Gulag
Amazon.it: 20,89 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli italiani di Crimea. Dall’emigrazione al gulag
Lascia il tuo commento