Il grande racconto di Roma antica e dei suoi sette re
- Autore: Giulio Guidorizzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
C’erano una volta gli Umbri, gli Osci, i Sabini, gli Irpini, i Marsi... ma la lingua latina ha sommerso tutti gli idiomi italici precedenti, “come un’alluvione sommerge una pianura”, scrive apprezzabilmente Giulio Guidorizzi, nel saggio Il grande racconto di Roma antica e dei suoi sette re, pubblicato lo scorso novembre dalla casa editrice bolognese Il Mulino, nella collana Grandi illustrati (384 pagine, 200 di illustrazioni a colori).
Un volume oggettivamente unico per l’eccezionale pregio grafico e l’inesauribile apparato iconografico, riprodotto a colori su carta di lusso. I testi sono a cura del grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e di antropologia del mondo antico, già docente nelle università di Torino e Milano, autore di testi su Enea, Edipo e sulla guerra di Troia. Arianna Ghilardotti ha collaborato al commento delle illustrazioni. Eva Cantarella ha fornito indicazioni sul diritto latino arcaico, Loredana Mancini si è adoperata nella ricerca iconografica.
Altri hanno offerto contributi utili alla realizzazione di un volume prestigioso, un libro di storia che sembra un libro d’arte, impreziosito dalle innumerevoli immagini in quadricromia e redatto in uno stile che si direbbe narrativo, poco professorale, per niente cattedratico e comunque ricco di spunti e richiami multidisciplinari (mitologia, storia antica, geografia, scienze).
Si pensi, appunto, all’efficace evocazione di un’onda che ha travolto e unificato le lingue dei clan, delle famiglie, delle tribù che hanno popolato la penisola prima dei Latini e di Roma. Discendevano dai primi abitanti, nomadi provenienti dall’Europa orientale, che scavalcate le Alpi si erano trovati davanti l’Italia, com’è accaduto tra il 2000 e il 1500 a.C. o anche prima, secondo il prof. Guidorizzi.
Un gruppo volle stabilirsi lungo un corso d’acqua, che presero a chiamare Albula, il fiume chiaro e che i loro discendenti battezzeranno Padre Tevere. Era invece Rumen per gli Etruschi, la popolazione evoluta che abitava le terre a settentrione e guardava anche al mare per i propri commerci. La gente lungo quel fiume restava invece legata alla pianura (latus, largo) e vi costruì insediamenti, in un territorio che poi fu detto Latium vetus, l’antico Lazio.
Un abitato sorse dove il fiume chiaro si poteva guadare e correva la via del sale dalle foci, indispensabile per conservare la carne e il pesce. Un nucleo di casupole e capanni tra i boschi, conosciuto come Septimontium, sette monti.
Nel 753 a.C., in quell’area dei sette colli venne fu fondata Roma. Secondo la tradizione, il 21 aprile un uomo chiamato Romolo tracciò un solco sulla cima del Palatino. Nel 509 a.C., duecentoquarantaquattro anni più tardi, venne cacciato l’ultimo re, Tarquinio ed ebbe inizio la republica, il governo elettivo. Nessun re avrebbe più regnato sull’Urbe.
A partire dall’età di Enea, l’uomo venuto da lontano all’alba della Repubblica, l’autore descrive usi costumi, tradizioni, religioni, feste, pietas e ius (diritto) della Roma delle origini.
Si contano duecentoquarantaquattro anni di monarchia, ma si ricordano soltanto sette re. È improbabile, per il prof. Guidorizzi, che ognuno abbia regnato in media trentacinque anni e si può ben pensare a un elenco ben più numeroso di regnanti. Il tempo ha cancellato le figure meno significative. “Quello che conta, ai fini di questo libro”, è quanto i Romani hanno voluto ricordare. A differenza della ricchissima mitologia greca, non sono stati mitopoietici, creatori di miti. Non hanno lasciato memorie di eroi, guerrieri o viaggiatori, uccisori di mostri e fondatori di città. Il troiano Enea è stato celebrato molto dopo, da Virgilio Marone e dai poeti latini e i re non ebbero un Omero che ne celebrasse le imprese, né aedi che esaltassero le origini. Con lo storico Tito Livio, figure ed eventi si precisano, diventano personaggi perfettamente reali. A partire dall’età repubblicana, gli eroi di Roma diventano gli uomini e le donne che esprimono i valori e la virtù cittadina: Orazio Coclite, Muzio Scevola, Attilio Regolo e tutti gli altri, Clelia, Lucrezia, Virginia.
Davanti a tutti, i sette re: Romolo, il fondatore della città, divinizzato come Quirino. Numa Pompilio, che provvide all’organizzazione religiosa e Tullo Ostilio a quella militare. Anco Marzio fece costruire un porto e un ponte sul Tevere. L’opera di edificazione della città venne proseguita dai primi due re etruschi, Tarquinio Prisco e Servio Tullio, mentre il terzo, Tarquinio il Superbo, “si macchiò di tali nefandezze pubbliche e private da suscitare la ribellione del popolo e la soppressione della monarchia”.
Più dal natale di Roma si avanza negli anni e più gli elementi leggendari e mitici si consolidano in vicende storiche delle origini - sebbene “storia oscura e un po’ romanzata” - ma i posteri Romani avevano davanti ai loro occhi le opere dei primi re, le mura di Servio, il ponte di Anco Marzio, i riti di Numa, a testimoniare la realtà della loro storia e l’impegno di qualcuno che le aveva volute e realizzate.
Ecco che i re escono dalla dimensione del mito per entrare nella storia, contribuendo ognuno per la propria parte alla creazione delle diverse istituzioni su cui si sarebbe fondata la grandezza di Roma nel corso dei secoli: l’esercito, il senato, le magistrature, le leggi.
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