Per Gabriele D’Annunzio la guerra era un’esperienza etica. Lo dimostra innanzitutto la raccolta I canti della guerra latina scritta durante la Prima guerra mondiale, dal 1914 al 1918. Quattordici poesie unite da un unico fil rouge: l’elogio della Grande Guerra e l’esaltazione del valore militare.
Com’è noto, Gabriele D’Annunzio era un convinto sostenitore della campagna interventista, dunque a favore della guerra, e partecipò anche attivamente ai combattimenti sul fronte. Nel 1915 D’Annunzio iniziò a pubblicare articoli e poesie che affermavano ideali in netto contrasto con la posizione neutralista di Giovanni Giolitti, allora alla guida del Parlamento. Prima dell’entrata in guerra ufficiale dell’ l’Italia, con l’attraversamento del Piave il 24 maggio 1915, il poeta non perse occasione per tenere un discorso (il celebre Discorso di Quarto del 5 maggio 1915, Ndr) in cui ricordava le gesta degli eroi rinascimentali e le ardite imprese di Garibaldi.
Secondo il poeta Vate era dovere dell’Italia riaffermare la passata gloria dell’Impero Romano e, in primis, la superiorità del genio latino: da cui deriva il titolo della raccolta poetica I canti della guerra latina, nota anche come Asterope.
Scopriamo più nel dettaglio caratteristiche, struttura e temi della raccolta.
“I canti della guerra latina” di Gabriele D’Annunzio: struttura dell’opera
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Il ciclo delle Laudi d’annunziane si conclude con il quinto libro Asterope o I canti della guerra latina.
L’opera si compone di 14 canzoni a sfondo militare ed eroico. Si apre con due componimenti in lingua francese Ode pour la rèsurrection latine (1914), l’ode per la resurrezione latina, e Sur une image de la France croisée, in queste prime poesie D’Annunzio ricalcava lo schema della biblica Laus vitae.
Filo conduttore delle liriche è la retorica della necessità dell’impresa bellica che ha come unico obiettivo la difesa della patria.
Torna anche la figura eroica del superuomo che viene celebrato per la sua volontà di donare sé stesso alla patria, per la sua suprema offerta di sé alla nazione.
Tra le liriche più celebri della raccolta possiamo considerare l’Ode alla nazione Serba (1916), in cui D’Annunzio elogia il popolo serbo per aver attentato alla vita dell’arciduca Francesco Ferdinando e chiama gli italiani a prendere ad esempio questi ideali di rivoluzione. Nel Cantico per l’Ottava della Vittoria (1918) il poeta celebra il valore del superuomo chiamato al sacrificio di sé in nome della patria.
La lirica più nota è tuttavia La canzone del Quarnaro che fa riferimento all’episodio della beffa di Buccari (11 febbraio 1918) nel quale lo stesso Gabriele D’Annunzio rivestì un ruolo determinante.
Vediamo la struttura de I canti della guerra latina:
- Ode pour la rèsurrection latine (1914)
- Sur une image de la France croisée (1915)
- Tre salmi per i nostri morti (1916)
- Ode alla nazione Serba (1916)
- Preghiere per l’avvento (1915)
- Per i morti del mare
- Per la gloria
- Per il Re
- Per la Regina
- Pel Generalissimo
- Il Rinato
- Per i combattenti
- Per i cittadini
- Preghiera di Doberdò (1916)
- A Luigi Cadorna (1916)
- All’America in armi (1917)
- La preghiera di Sernaglia (1918)
- Cantico per l’ottava della vittoria (1918)
- La canzone del Quarnaro (1918)
“I canti della guerra latina” di Gabriele D’Annunzio: significato
I canti della guerra latina sottolineano il ruolo chiave svolto da Gabriele D’Annunzio durante la Prima guerra mondiale. La sua non fu una propaganda solo ideologica, ma anche attiva sul campo.
Si tratta forse della poesia meno lirica di D’Annunzio, lontana dagli accenti ricercati e raffinati, dal tono musicale de La pioggia nel pineto; ma è una lirica oratoria, rivolta a uno scopo preciso: rianimare i valori patriottici italiani. La poesia dannunziana dei Canti della guerra latina rappresenta una vera e propria chiamata alle armi.
D’Annunzio tradusse in poesia la propria ideologica bellica trasformando così i suoi versi in un elogio all’esperienza dell’uomo-soldato, cui tutti gli italiani erano chiamati ad aderire.
Tra le liriche più significative deve essere citata soprattutto l’ultima, La canzone del Quarnaro (1918). Si tratta del componimento più studiato nelle scuole per il suo stretto rimando a un episodio storico di cui Gabriele D’Annunzio fu protagonista fattivo: la beffa di Buccari.
Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 infatti fu sferrata, di soppiatto, un’incursione armata della Regia Marina italiana ai danni di un naviglio austro-ungarico che sostava nella baia di Buccari, in Croazia.
Si tratto di un’impresa irrilevante dal punto di vista strategico che tuttavia ebbe una grande risonanza e contribuì a risollevare il morale degli italiani dopo la sconfitta di Caporetto. In seguito venne definita “una delle imprese più audaci della Prima guerra mondiale”. Neanche a dirlo, una delle menti che pianificarono l’azione fu proprio quella di Gabriele D’Annunzio. Durante la missione furono gettate in mare tre bottiglie che contenevano un messaggio scritto dal poeta di proprio pugno.
Il messaggio di D’Annunzio recitava così:
“In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile.
E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia”.
In seguito a questo riferimento l’episodio storico in questione fu denominato proprio “Beffa di Buccari”.
Il messaggio in bottiglia di D’Annunzio ebbe grande diffusione e non si limitò a giungere ai propri destinatari, ovvero i nemici. L’esercito italiano lo intese come un appello alla riscossa: gli animi dei soldati si accesero di rinnovato spirito patriottico in una fase della guerra decisiva.
La Canzone del Quarnaro di Gabriele D’Annunzio
La lirica finale de I canti della guerra latina, La canzone del Quarnaro per l’appunto, si configura come una sorta di diario in versi dell’ardita spedizione.
Nel componimento D’Annunzio alterna la più accesa invettiva anti-austriaca a toni quasi sarcastici, combina la descrizione paesaggistica alla più veemente retorica bellica.
La canzone è divenuta celebre soprattutto per la ripresa anaforica di un verso che dona all’intera lirica una struttura circolare riprendendone il motivo iniziale in una specie di ritornello insistito.
"Eia, carne del Carnaro! Eia Eia Alalà!"
Al termine di ogni strofa D’Annunzio riprende questo grido di guerra Eia Eia Alalà! che sarà poi usato come motto dai soldati durante la Seconda guerra mondiale. Ma non si tratta di un agglomerato di parole casuale.
Ancora una volta D’Annunzio faceva riferimento alla letteratura classica. Eia Eia Alalà! era infatti un grido di guerra diffuso tra i soldati dell’antica Grecia. Tradizione vuole che fosse stato pronunciato proprio da Achille in persona.
Un’altra testimonianza della sterminata cultura del poeta Vate. Nel levare il proprio grido di riscossa, per risvegliare il popolo italiano dormiente e passivo, Gabriele D’Annunzio si servì della radice greca del verbo alalàzo che propriamente significa “levo un canto di guerra”. L’espressione Eia Eia Alalà potrebbe essere tradotta in italiano come un’esortazione: su, via, coraggio!
La stessa espressione fu ripresa da Giovanni Pascoli nei Poemi conviviali, come testimonia il verso:
Ma s’io ritrovi ciò che il cuor mi vuole,
ti getto allora un alalà di guerra.
D’Annunzio decise di riadattarla a suo uso e consumo, facendone un punto cardine dei suoi Canti della guerra latina. Il significato dell’intera raccolta poetica può essere riassunto in questo grido Eia Eia Alalà! che ne condensa lo slancio bellico.
Anni dopo quello stesso appello d’annunziano sarebbe stato utilizzato dagli squadroni fascisti quale slogan d’esultanza e d’incitamento, dando all’espressione un significato ben diverso per la quale, purtroppo, la ricordiamo ancora oggi.
Con quel grido guerresco tuttavia Gabriele D’Annunzio aveva annunciato il suo protagonismo sulla scena storica italiana, dimostrando che la poesia - di fatto - è azione in potenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “I canti della guerra latina” di Gabriele D’Annunzio: caratteristiche, analisi e temi della raccolta poetica
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