I cavalieri del Bushido. Una breve rassegna delle atrocità commesse dai giapponesi nella Guerra del Pacifico (1941-1945)
- Autore: Lord Russell di Liverpool
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
La brutalità esercitata dai giapponesi sui prigionieri di guerra e i civili nemici è storia disumana ed è certificata, indubitabile, anche punita da tribunali postbellici contro i crimini di guerra, ma se fosse immaginaria non potrebbe che essere una sanguinaria fiction dell’orrore. Una breve rassegna delle atrocità commesse dai giapponesi nella Guerra del Pacifico (1941-1945): è quello che si legge sulla copertina del libro I cavalieri del Bushido, un noto saggio di Lord Russell di Liverpool, diffuso in oltre trenta edizioni pubblicate in inglese tra il 1958 e il 2005, alle quali si è aggiunta dall’anno scorso quella italiana, su iniziativa delle edizioni milanesi Res Gestae (traduzione di M. Fusi).
È una storia dei crimini di guerra nipponici e non dimentica la strage di Nanchino, la marcia di Bataan dei prigionieri americani nelle Filippine, il trattamento impietoso inflitto a quanti ai loro occhi si erano macchiati del disonore della resa, invece di scegliere il sacrificio estremo. Il comportamento giapponese rispondeva a molte regole morali di questo popolo orientale tanto corretto in pace quanto spietato in guerra, addirittura barbaro. La dittatura delle Forze Armate, che tra le due guerre del ‘900 ha governato il Sol Levante nel rispetto della figura dell’imperatore-dio, aveva esasperato i valori tradizionali di tutti i giapponesi, che si riassumono nel bushido, la via del guerriero e dell’onore. A questo si associava il concetto di superiorità etnica sugli altri popoli (razza eletta anche i nipponici): l’hakko ichiu, “fare del mondo una grande famiglia”, che autorizzava il Giappone ad espandersi imperialisticamente nell’intero Oriente. A tutti questo andava aggiunto il kodo, il senso di fedeltà suprema nei confronti dell’imperatore, che impegnava dal primo all’ultimo giapponese a mostrarsi degno della “divinità” imperiale.
Questi erano i princìpi nobili sui quali si fondava un intero Paese che vennero esasperati dai militari fino a giustificare una campagna di tortura, omicidio, fame, stupro e distruzione. Edward Frederick Langley Russell, secondo Barone di Liverpool (1895 –1981), è stato un magistrato, storico e scrittore inglese. Educato al St. John’s College di Cambridge, tre volte decorato con la Military Cross nella prima guerra mondiale, è stato nel secondo dopoguerra vice procuratore britannico nei tribunali insediati in Germania e a Tokyo per giudicare i responsabili di gravi violazioni delle convenzioni belliche umanitarie. Dopo il successo di una pubblicazione sui delitti di guerra nazisti, era stato invitato a realizzare una ricerca sui corrispondenti crimini dei giapponesi. Questo libro, spiega nel testo, è il risultato di quelle sollecitazioni e, come il precedente, si basa su deposizioni e documenti raccolti nei processi post bellici e sulle dichiarazioni giurate dei testimoni ascoltati dalle commissioni costituite dagli Alleati.
Mi duole che sia stato necessario includere tanti dolorosi particolari, ma ometterli non avrebbe consentito di raggiungere lo scopo che il libro si era prefisso, offrire una relazione sui crimini di guerra nipponici. E comunque, per ognuno degli episodi ripugnanti descritti, centinaia sono rimasti sconosciuti.
La polizia militare Kempei Tai, interi reparti in linea, singoli ufficiali, sottufficiali e soldati giapponesi (e nei campi di concentramento anche guardie coreane arruolate), hanno esercitato atti di violenza costante e ripetuta, in tutti i territori occupati (fin dall’incidente del 1931 di Mukden in Cina-Manciuria), dilagando verso l’India britannica e l’Australia, dopo il proditorio attacco alla base americana di Pearl Harbour. Combattenti coraggiosi e irriducibili, ma conquistatori disumani, i giapponesi si macchiavano di atroci violazioni dei diritti umani. Brutalità sistematiche, soldati liberi di compiere qualunque efferatezza, licenza totale di uccidere nelle rappresaglie, donne violentate e schiavizzate nei bordelli militari, prigionieri occidentali ridotti alla fame, giustizia sommaria anche per inosservanze minori, civili trasformati in cavie umane nei laboratori, perfino cannibalismo non sporadico. Un repertorio dell’orrore interminabile, che rende il lavoro di Lord Russell un testo “crudo, barbaro e violento”, hanno commentato lettori importanti, “spaventoso, allucinante, devastante”, “mutilavano i soldati arresi, tagliavano teste, uccidevano di inedia, baionettavano per addestrarsi, torturavano persone”.
Basta scorrere i capitoli per raccogliere un repertorio di atrocità: il trattamento dei prigionieri di guerra, l’uccisione degli equipaggi aerei catturati, vita e morte sulla ferrovia birmano-siamese, le navi prigione, i crimini in mare aperto, i campi di internamento civili, le barbarie contro le popolazioni. Non manca una sezione sulla vivisezione, le mutilazioni e il cannibalismo riconosciuto, quasi accettato, se il Ministero della guerra, in una nota, vietava in assoluto il “consumo” di “carne” da parte dei militari connazionali.
I cavalieri del Bushido. Una breve rassegna delle atrocità commesse dai giapponesi nella Guerra del Pacifico (1941-1945)
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