I cristiani visti dai romani
- Autore: Robert Louis Wilken
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2007
In un saggio piacevolissimo che unisce sapientemente lo sguardo antropologico, l’esegesi testuale e l’analisi argomentativa Robert Louis Wilken tratteggia il profilo de I cristiani visti dai romani (Paideia, 2007). Già in questo titolo, Wilken riassume felicemente il suo peculiare punto di vista: quello degli autori pagani antichi, di uomini politici, letterati, scienziati e filosofi che guardano al fenomeno del cristianesimo nascente nell’impero romano.
Si tratta di uno sguardo, antropologico e dottrinale, inconsueto e difficile da ricomporre nella sua globalità: i testi degli autori pagani che criticavano il cristianesimo sono stati distrutti durante l’antichità stessa, in un momento successivo, quello del tardo impero romano in cui il Cristianesimo si è affermato potentemente ed è diventato religione di stato.
I cristiani visti dai romani è, allora, anche un’indagine nei testi degli autori cristiani (come avviene anche in La religione a Roma, dove il sistema religioso romano è tratteggiato a partire anche da fonti cristiane, come il De Civitate Dei di Agostino oltre che da numerosi testi di autori pagani) per ritrovare quelle stesse argomentazioni che lì erano richiamate per essere confutate, un dialogo ininterrrotto che, in un arco temporale di tre secoli (dal II al IV sec. d.C.), contrappone i retori ai martiri, i filosofi e gli scienziati ai vescovi.
Attraverso l’analisi di cinque figure capitali nella storia della lettura e del pensiero romano - Plinio, Galeno, Celso, Porfirio e Giuliano l’Apostata - Wilken mostra in questo saggio le differenti argomentazioni utilizzate per comprendere, categorizzare e confutare la nascente religione cristiana che spesso teme tali argomenti e, in alcuni casi ne trae nuova linfa.
Il cristianesimo è dapprima, con Plinio, inteso come un’associazione con interessi politici (heateria), potenzialmente pericolosa per la vita civile romana e assimilato ad altre superstizioni:
"credenze e pratiche religiosi che per i romani erano forestiere e bizzarre (...) connesse con i culti penetrati nel mondo romano dai paesi circostanti", "le cui origini e pratiche si situavano al di fuori dei canoni religiosi condivisi nel mondo greco-romano"
perché prive sia della pietas che della utilitas per la società e la politica.
Con Galeno il cristianesimo viene accreditato come scuola filosofica di cui si combattono le argomentazioni fallaci: il fideismo, presente già in Mosè, che nulla dimostra razionalmente; la creazione ex nihilo che abolisce la materia e la potenza assoluta di un dio che può fare anche cose contrarie alle leggi di natura.
In Celso si arriva a un provvisorio punto d’arrivo, dove confluiscono molti degli argomenti utilizzati dai pagani contro i cristiani nel II sec. d.C. E’ ripresa l’idea che il cristianesimo sia una superstizione, corroborata da un’attenzione sulla figura alla figura di Cristo, ritenuto un mago a causa dei miracoli compiuti ma, soprattutto, un uomo comune, privo di qualunque natura divina: un’idea questa che sarà sempre aspramente criticata dal paganesimo perché contrasta l’assunto, fondamentale anche per gli antichi, che al di sopra di un pantheon molto affollato, esista un unico sommo dio. Altro punto di forza delle argomentazioni di Celso che troverà degna prosecuzione in Porfirio è la riduzione della vita di Cristo a una vicenda storica, priva di qualunque valenza mitica: i vangeli diventano qui una narrazione inattendibile, svolta dai primi cristiani proprio allo scopo di venerare come un dio quello che in realtà era uomo comune.
Porfirio e Giuliano costituiscono il culmine della critica pagana al cristianesimo perché nelle loro opere l’acume argomentativo viene associato a una profonda conoscenza dei testi cristiani. Il primo, forte delle sue analisi esegetiche, dimostra la falsa datazione del Libro di Daniele, inficiandone il valore profetico e critica i Vangeli per le loro discrepanze, intepretando i racconti sulla vita di Gesù come racconti svolti da persone prive di qualunque attendibilità. Porfirio, pur stimando Gesù come un uomo saggio, attacca la divinizzazione che di lui hanno fatto i cristiani e, quindi, riprende l’argomento di Celso per cui è possibile venerare solo un’unico e sommo Dio, come fanno anche i Giudei.
Saranno proprio i Giudei il cavallo di Troia utilizzato da Giuliano l’Apostata per sferrare l’ultimo e più velenoso attacco ai cristiani. Un attacco che accanto alle argomentazioni teoriche assocerà azioni politiche estremamente concrete: una limitazione dell’insegnamento della cultura greca ai soli pagani e, soprattutto, il tentativo, fallito, di ricostruire il tempio giudaico di Gerusalemme per dimostrare empiricamente la falsità delle profezie testamentarie e la pretesa, cristiana, di essere la religione erede del giudaismo, annunciata da un vero profeta.
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