I dimenticati di Mussolini
- Autore: Giuseppina Mellace
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Trentacinque giorni di vuoto tra l’armistizio con gli angloamericani e la dichiarazione di guerra alla Germania, il 13 ottobre 1943 e per centinaia di migliaia di nostri militari cadde ogni possibilità d’essere considerati soldati di un esercito nemico. Hitler li fece rastrellare dovunque e inventò per loro una categoria inedita: IMI, internati militari italiani, praticamente schiavi. Erano “I dimenticati di Mussolini” e Giuseppina Mellace ricostruisce in un volume Newton Compton (marzo 2019, 320 pagine 12.90 euro) la loro storia di deportati nei lager nazisti dopo l’8 settembre 1943, con uno sguardo anche ai prisoners of war nei campi di concentramento alleati.
Insegnante, autrice anche di teatro e appassionata di storia, ha voluto approfondire questo tema, noto solo ai più informati, pur avendo coinvolto un numero enorme di uomini e addolorato centinaia di migliaia di famiglie.
Ignari, abbandonati al loro destino dal re (fuggito a Brindisi), da Badoglio (capo del Governo) e dagli Alti Comandi, non poterono opporsi organicamente. Ufficiali, sottufficiali e soldati, marinai, avieri vennero sistematicamente circondati dai tedeschi secondo un piano preordinato già prima della caduta di Mussolini, il 25 luglio. In oltre 500mila furono costretti a cedere le armi in Italia, soprattutto nel Nord, dove la presenza tedesca era maggiore. Nella Francia meridionale alzarono le mani in 59mila.
Nei Balcani e nelle isole del Mediterraneo 430mila. In totale furono disarmati 1.007.000 italiani, forze di gran lunga superiori ai reparti tedeschi nella penisola e nei Paesi dov’erano nostre truppe, tradite dalla mancanza di direttive da Roma e dall’ambiguità degli accordi tra monarchia e Alleati.
Di tutti, poco meno di 200mila riuscirono a fuggire, ma solo 186mila dei restanti 810mila aderirono alla collaborazione con Hitler. In grande maggioranza rifiutarono di continuare a combattere affianco ai tedeschi, pur sapendo di andare incontro a un destino di fame, stenti, privazione di ogni dignità. Per loro, considerati alla pari di deportati civili, si apriva la strada dei lager. Secondo i nazisti avevano tradito l’alleanza tra il fascismo e la croce uncinata e non c’era stato di guerra tra i due Paesi: erano esclusi perciò dalle garanzie di trattamento previste dalla Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra.
La vicenda degli IMI è ben riassunta nella motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa “motu proprio” all’internato ignoto dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a settembre del 1998:
Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all’onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera. A memoria di tutti gli internati di cui il nome si è dissolto, ma il cui valore ancora oggi è esempio di redenzione per l’Italia.
Li attendeva quello che in una poesia composta nel 1944 ha così descritto Umberto Zanolli, internato a Wietzendorf, nella Bassa Sassonia:
Quattrocento ventisei ottantasette / Non più uomo: numero / Bucce di marce patate / Rape bianche, gialle e rosse da foraggio, / margarina minerale, qualche grammo / pan di paglia triturata, segatura d’alti fusti iperborei /acqua e sale /
Poco perché tu viva. Troppo perché tu muoia /Dura, prigioniero.
Eppure, in quel settembre senza speranza c’era stato aveva usato le armi contro i tedeschi, difendendo qualche caserma in Italia e affrontandoli nelle isole greche e nel Dodecaneso. Vennero trattati brutalmente, uccisi in più di 6.300, calcola la prof.ssa Mellace, in esecuzione degli ordini di Hitler di giustiziare gli ufficiali che si fossero opposti alle direttive del Reich o fossero entrati in contatto con i partigiani. Per sottufficiali e truppa era disposta la cattura e l’invio in Germania, come forza lavoro a costo zero.
L’autrice vuole “squarciare il velo dell’oblio” calato sugli oltre 600mila militari nei campi di concentramento tedeschi, più quelli fatti prigionieri dagli Alleati, quindi anche dagli americani, inglesi, francesi e soprattutto russi. Questi ultimi, “dimenticarono cosa significhi essere uomo facendoli giungere ad atti di cannibalismo per i prolungati digiuni”.
Non potendo parlare di tutti i campi d’internamento, ha scelto di seguire le vicende di un soldato italiano, Quinto, eletto a simbolo della tragedia vissuta da quei giovani. Ed ha concluso il lavoro, sintetizzando in una scarna forma verbale la scelta dello Stato italiano, che nel dopoguerra ha preferito archiviare la pratica IMI nel modo più sbrigativo: “dimenticando”.
I dimenticati di Mussolini. La storia dei militari italiani deportati nei lager nazisti e nei campi alleati dopo l'8 settembre 1943
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