I diversi
- Autore: Hans Mayer
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Garzanti
Sarebbe opportuno e auspicabile riproporre oggi, almeno in e-book, il volume di Hans Mayer dal titolo I diversi, edito da Garzanti nel 1978 e poi ripubblicato nel 1992, perché il tema affrontato rimane, ahimè, tuttora prepotentemente attuale, nonostante gli incessanti ma inascoltati inviti alla comprensione e al rispetto per qualsiasi minoranza, rivolti agli individui e alle società, alla sensibilità dei singoli e alla legislazione ufficiale.
Mai come oggi, però, tale puntuale ed enfatica esortazione viene nei fatti disattesa, con una recrudescenza preoccupante di sadismo, intolleranza, violenza fisica e verbale nei riguardi di chi è “altro”.
Hans Mayer (1907-2001), allievo di Adorno e Horkheimer, distintosi in Germania e noto anche in Italia per i suoi studi letterari sforanti nel sociale, suggerendo coinvolgimenti etico-politici (cfr. Letteratura vissuta, Milano 1991), propose negli anni ’70 una lettura totalizzante, quasi enciclopedica, della discriminazione, che attraversando diacronicamente la storia letteraria mondiale, percorreva un filo di pensiero unificante sulla diversità, individuata in tre grandi categorie umane: la donna, l’omosessuale, l’ebreo.
Servendosi di strumenti scientifici e approcci specialistici eterogenei, confezionò con I diversi un volume ambizioso da utilizzare come manuale e compendio antologico, più che come testo critico vero e proprio.
I diversi si propone infatti come libro a tesi, pamphlet politico, già a partire dalla lapidaria affermazione iniziale:
L’illuminismo borghese è fallito… l’uguaglianza formale davanti alla legge… non ha comportato una conseguente uguaglianza materiale delle prospettive di vita.
Considerazione quasi scontata, condivisibile pressoché universalmente, soprattutto per ciò che riguarda i tre gruppi presi in considerazione da Mayer: donne, omossessuali, ebrei pagano ancora a caro prezzo la contraddizione irrisolta di essere altro dalla maggioranza dominante in cui tuttavia sono inseriti. Difficile però parlare come fa Mayer di tre gruppi omogenei, per cui nei secoli e alle latitudini più diverse siano valse lo stesso tipo di discriminazioni culturali.
Cosa unisce Giovanna d’Arco a Klaus Mann, Jean Genet allo Shylock shakespeariano, Giuditta a Edoardo II, Arthur Rimbaud ai personaggi ebrei di Dickens e di George Eliot? Basta il tratto unificante della differenza a collegare tra loro esperienze intellettuali e sociali così lontane e ambivalenti?
Con quale rigore scientifico si può, oggi, dopo decenni di studi approfonditi della cultura femminista, parlare della donna come “minoranza diversa” in tutta la storia della letteratura dalla Bibbia in poi?
Altrettanto difficile da condividere appare la scelta di Mayer di eludere temi e nomi essenziali all’interno delle tre categorie prese in considerazione, tacendo di autori che hanno dibattuto a lungo, e pagato sulla propria pelle, la diversità: Christa Wolf, Elie Wiesel, Pierpaolo Pasolini, per indicare personaggi notissimi anche al dibattito culturale tedesco, nemmeno citati nel repertorio delle note.
Un volume quindi, quello di Mayer, di notevole interesse documentario, senz’altro pungolante e animato da vis polemica, ma ideologicamente ibrido e formalmente appesantito da uno stile assertivo e perentorio, nella sua monotona paratassi; teutonicamente rigoroso nel negare a noi lettori l’addolcimento di qualche metafora, la pausa diluente di qualche subordinata.
I diversi
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