I miei giorni nel Caucaso
- Autore: Banine
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2020
Neri Pozza pubblica per la prima volta in Italia I miei giorni nel Caucaso (2020, titolo originale Jours Caucasiens, prefazione di Ernst Jünger, traduzione di Giovanni Bogliolo) di Banine, pseudonimo di Umm-El-Banine Assadoulaeff (Baku, 1905 – Parigi, 1992), l’autobiografia che la scrittrice francese di origini azere pubblicò per la prima volta nel 1954, ottenendo un grande successo di pubblico e critica.
“Al contrario di certe degne persone, nate in famiglie povere ma “a posto”, io sono nata in una famiglia per niente “a posto”, ma molto ricca”.
Divertente e ironico l’incipit di questo memoir, che spiega, divertendo, l’origine della ricchezza della famiglia dell’autrice. Il bisnonno di Banine, che si chiamava Assadullah, che significa “amato da Allah”, aveva un nome predestinato: nato contadino, l’antenato della scrittrice morì milionario grazie al petrolio zampillato dal suo campo pieno di sassi, in mezzo ai quali brucavano le pecore.
Il nonno contadino divenuto milionario grazie all’oro nero non è il solo membro dal passato particolare della famiglia di Banine, che annovera membri estremamente loschi, “sull’attività dei quali sarebbe preferibile non dilungarsi”.
Dunque una famiglia strana, esotica e ricca, nella quale Banine nacque il 18 dicembre 1905, un anno movimentato, tra scioperi, pogrom, massacri e altre manifestazioni della ferocia umana.
A Baku, in quell’epoca, la maggior parte della popolazione era composta di armeni e di azeri ed era dedita a massacrarsi. Nel 1905 gli armeni, meglio organizzati, sterminavano gli azeri per vendicarsi di massacri passati e, da parte loro, gli azeri vi attingevano ragioni per massacri futuri.
Nel tentativo di sfuggire a questa situazione sanguinaria e caotica, la madre di Banine era andata a partorire in una periferia petrolifera, dove la donna pensava di trovare maggior tranquillità. Invece, contrasse la febbre puerperale e, privata delle complesse cure richieste dalle sue condizioni, lottò invano contro la malattia, lasciando orfana la figlia ancora piccola. Nonostante ciò, la tenera infanzia di Banine, quarta di tre sorelle maggiori, fu felice.
L’autrice fu allevata da Fräulein Anna, una tata tedesca baltica. Governante, madre e angelo custode delle quattro giovanissime orfane dall’aspetto orientale, brune di pelle e nere di capelli, Fräulein Anna, dalla pelle candida e dai capelli di lino, con il suo aspetto nordico entrava in totale contrasto con loro. Ciò appare ben evidente nelle tante fotografie scattate in quel periodo.
In questa fanatica famiglia musulmana, grande influenza aveva la nonna paterna di Banine, donna grande, grossa e autoritaria, che stava di preferenza seduta per terra sui cuscini, come ogni buona musulmana. L’anziana donna, velata e osservante oltre ogni dire, detestava i cristiani “con esaltazione”.
Ovviamente, se fosse dipeso dalla nonna, le nipotine non sarebbero mai state affidate a Fräulein Anna, ma il padre viaggiava di continuo per gestire l’azienda petrolifera di famiglia, che aveva depositi e uffici scaglionati lungo il Mar Caspio e il Volga ed era fiorente a Mosca con una filiale importante.
I russi avevano colonizzato ormai da tempo il Caucaso e la loro influenza s’infiltrava dappertutto, ma le cose sarebbero drasticamente cambiate con l’avvento della Rivoluzione d’Ottobre del 1917: una dittatura militare, dominata dagli armeni, avrebbe preso il potere a Baku, dando la caccia ai ricchi azeri, costringendo Banine e la sua famiglia a fuggire dai luoghi natii, per recarsi prima a Istanbul e poi a Parigi.
In questo memoir, che è un classico, sagace e ironico racconto dell’infanzia esotica dell’autrice, nata e cresciuta in Azerbaigian durante il burrascoso inizio del “Secolo breve”, straordinari appaiono i racconti su una famiglia litigiosa e ricca di personaggi particolari, sullo sfondo delle magnifiche rive del Caspio. Il retaggio, l’eredità morale che ciascuno ha, non si può dimenticare, anche quando costretti ad abbandonare la propria casa. È questa la riflessione che in maniera brillante, sottile e acuta, Banine vuole trasmettere al lettore con I miei giorni nel Caucaso.
I miei giorni nel Caucaso
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