I personaggi non torneranno? La letteratura contemporanea tra finzione e realtà
- Autore: Alessandro Cinquegrani
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2024
Lo stile, la storia (la trama?), i personaggi: tradizionalmente questi sono gli aspetti basici del romanzo, già quando lo chiamavano “poema”.
Difficile dire quale dei tre sia più colpito dalla cosiddetta crisi del romanzo stesso, che dura in verità da molto tempo, salvo che poi di tanto in tanto qualcuno di questi libri riesca a rompere la routine di una mediocrità poco aurea – due titoli degli ultimi mesi? Invernale di Dario Voltolini e Storie dell’orrore di Péter Nadas.
La famigerata marchesa che usciva alle cinque attirandosi il sarcasmo di Paul Valery è forse quella che conosce la maggiore sofferenza: è anche noia se non fastidio per la trama, certo (non dissimile da quella che gli avanguardisti provavano per l’opera lirica); meno discredito registra lo stile, se pensiamo che molto tempo prima del poeta francese già per il suo connazionale Flaubert era lo stile a fare l’opera, e non si parla di meri orpelli, com’è noto.
Dopo la stagione più classicamente favorevole al romanzo, l’Ottocento, in pieno modernismo l’insofferente Valery, poeta-intellettuale, non si fa scrupolo di lanciare i suoi strali, ma non è gesto comune: nella temperie proto-novecentesca il personaggio resiste eccome. Ne compie una ricognizione esemplare per vedere cosa resiste uno studioso che è romanziere in proprio, Alessandro Cinquegrani, in un volume edito da Carocci, I personaggi non torneranno?, da poco in libreria.
Polimorfo il suo carattere, mutevole il suo statuto, il personaggio oscilla fra l’identificazione con l’autore e la presa di distanza, il suo dissolvimento in zone franche e imprevedibili e la contrapposizione con il tizio che gli dà vita dalla scrivania, come succede, ad avviso di Cinquegrani - sulla scia di Walter Benjamin -, con Kafka e Pirandello.
Bisognerà aspettare il post-moderno per vederlo soccombere. Che non è cosa da poco, se pensiamo che nessuno degli aspetti che abbiamo individuato come archetipici è stato in grado di produrre mito e immaginario quanto il personaggio (per restare nei confini dell’articolo: il bovarismo vi dice qualcosa?).
Con Paul Auster e certa letteratura distopica la faccenda si complica, il reale imbarazza perché i suoi confini si smagliano, così l’entità dei personaggi.
Un luogo comune, alimentato proprio dagli scrittori, vuole si facciano da sé, sostiene che abbiano vita propria, quasi l’ipostasi di esseri viventi – bon, tutto questo sembra reggere sempre meno.
Peraltro, a forza di destrutturare tutto, ci si è convinti che nessuna vita può indiziare un modello, una forma esemplare: ci si crede a fatica, almeno se parliamo di letteratura e non di masscult (percepito per lo più come midcult, così come questi sembra assurto al ruolo di grande opera letteraria: questi sono i tempi), ossia di quell’intrattenimento che occupa qualche stenterello salotto televisivo o lo spazio fuggevolmente isterico dei social (non casualmente durevole tanto quanto quello di certi libri).
Ora, nella lezione di Cinquegrani, soprattutto la versione esasperata del post-moderno - anche al cinema, e qui Tarantino la fa da padrone, ma nemmeno l’ultimo Kubrick scherzava – spazza via il mito del personaggio: non si crede più a nulla, figurarsi a un personaggio di finzione. Il lettore smette di identificarsi in lui e fa piuttosto comunella con l’autore, perché questi vuole così, prendendo le distanze lui per primo dai personaggi. L’autofiction, che detta legge negli anni successivi fino a oggi, è il tentativo di una risposta a questa crisi: il personaggio è l’autore stesso, non necessariamente di fatti propri: se tali non sono, si tratta di cose altrui che sarebbero irrilevanti senza il suo sguardo, la sua variabile partecipazione.
Una qualche realtà rientra dalla finestra, si direbbe, come se l’autore, pur inventando fatti ma assumendosene il carico simbolico (si veda Walter Siti), recuperi un senso all’opera, laddove il post-moderno sembrava destinarla a un gioco infinito.
In forme diverse dalla mera auto-fiction, il personaggio, prima depotenziato, poi soccombente, prova a riemergere: è il caso, ad avviso di Cinquegrani, delle opere di Antonio Moresco. La cui strada però ci pare tutt’altro che sicura.
Denso di riferimenti, diffusamente analitico e ricco di confronti con la lezione di figure rilevanti del Novecento, Benjamin, Blanchot, Debenedetti, il libro è utile per misurare al momento lo stato dell’arte – forse il personaggio letterario è davvero scomparso per sempre?
I personaggi non torneranno? La letteratura contemporanea tra finzione e realtà
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