I racconti di San Francisco di Armistead Maupin

Basta solo tenerlo fra le mani, questo libro, sventolarselo davanti al viso o infilarlo sotto l’ascella mentre si beve un caffè al bancone del bar per sentirsi immediatamente trasportato in California, e non in una qualsiasi California, ma in quella dei leggendari Anni Settanta.

Seduti sulle panchine di Washington Square osserviamo le vite degli altri, le vite raccontate da Armistead Maupin ne “I racconti di San Francisco” e ne rimaniamo inevitabilmente invischiati.
Mary Ann Singleton, venticinquenne di Cleveland, si trasferisce nella libera e disinibita città californiana e va ad abitare in un appartamento in affitto al 28 di Barbary Lane, in un chiassoso condominio popolato da personaggi strani, bizzarri, completamente diversi da lei, ognuno con una storia alle spalle e, forse, segreti da nascondere o esibire.

Maupin pubblicò questi racconti sul “San Francisco Chronicle” a partire dal 1976, racconti diventati poi un classico della letteratura americana amati dai lettori di tutto il mondo. Un inno alla libertà d’espressione dei propri sentimenti e del proprio modo di vivere, scritto in un particolare periodo storico all’interno del quale tutto sembrava possibile. Accettare le differenze degli altri, conviverci e rispettarle è il primo vero atto d’amore nei confronti di se stessi, questo è il messaggio che attraversando a tutta velocità il Golden Gate arriva fino a noi lettori a più di trent’anni di distanza.

“Nessuno è felice. Cosa vuol dire essere felici? La felicità finisce nel momento in cui si accendono le luci.”