Idromania
- Autore: Assaf Gavron
- Casa editrice: Giuntina
- Anno di pubblicazione: 2013
“… quando si ha qualcosa è facile dimenticare com’era difficile quando non c’era.” (Pag. 32)
L’importanza dell’acqua è ovvia. L’acqua è il luogo della formazione della vita, presente in tutte le religioni come struttura portante anche della sacralità. Più materialmente l’acqua è un bene prezioso in ampie aree pure mal gestito e sprecato.
Se l’acqua è un problema in zone piovose e ricche di fiumi, lo è ancora di più nel Medio Oriente.
“In tutta questa regione l’acqua è un bene prezioso. Forse il più prezioso. … Gli israeliani, a Tel Aviv come a Gerusalemme e in ogni dove, sono ossessionati dalla siccità. Il cielo sereno, a un certo punto dell’anno, diventa una maledizione. … L’acqua, insomma, da queste parti non è ovvia. … L’acqua da queste parti, ha un peso specifico di tutto rispetto.” (Elena Loewenthal, Tel Aviv, Feltrinelli, Milano, I edizione, maggio 2009, pag. 65)
Nel romanzo Idromania (Giustina, Firenze, 2013) lo scrittore israeliano Assaf Gavron unisce, in un’ambientazione futuristica, l’inquietudine di un mondo senza acqua e con l’ansia di una sconfitta militare.
Siamo nel 2067, il Medio Oriente politico è cambiato. La Cina è diventata la nazione più potente. Gli Stati Uniti sono deboli e gestiscono solo le politiche regionali. L’alleanza fra cinesi e arabi ha cambiato l’attuale rapporto di forza militare. Le tante guerre porteranno:
“… Israele restasse solo un lontano, smorto ricordo …” (Pag. 76).
Israele è diventato piccolo debole, indifeso, disperato, e con un territorio limitato alla zona di Cesarea.
In questo distopico ambiente, l’autore racconta di Maya e del cambiamento da donna debole e sottomessa a donna capace di vivere e piena di rispetto.
Questa accade su uno sfondo di una storia avveniristico, in un retroscena di criminalità.
Maya è sposata, ma il marito Ido un giorno sparisce, lasciandola incinta e a gestire da sola l’azienda di famiglia. Il loro business era la trasformazione dell’acqua piovana in potabile e conveniente. L’acqua era scarsissima, era stata privatizzata ed era gestita esclusivamente da multinazionali, le quali la vendevano a prezzi esorbitanti. L’attività di Maya e Ido consentiva alla gente di utilizzare un’acqua buona e molto economica. La coppia si trovò ad affrontare le ire violente delle Corporation dell’acqua.
Il seguito del romanzo è un giallo d’azione, omicidi, mafia, criminalità economica, controllo delittuoso dell’economia.
Assaf Gavron narra della situazione politica del Medio Oriente in maniera angosciosa e nevrotica. Un’agitazione normale per una nazione giovane, forte ma totalmente circondata da nemici, alcuni molto rissosi. Inoltre il numero di amici è si riduce continuamente. Il futuro per un israeliano è incerto, ignoto e il timore di una continua biblica diaspora è sempre percepita.
Il tema politico è decisivo nel romanzo. Quanto c’è di probabile nello scenario politico futuristico immaginato dallo scrittore? L’autore è pieno di dubbi. Tante scelte sono incerte, qualsiasi decisione sia presa. Pone dei dubbi sulle priorità così sicure per tanti politici:
“Forse qualcuno arrivò a pensare che, se c’era pace fra Israele e Palestina, ci fosse anche speranza per il mondo e per il futuro dell’umanità.” (Pag. 75)
Questa tensione si riflette nella scrittura del libro. Il nervosismo con il quale descrive una società peggiore è di un linguaggio accecante per l’inesistente mondo raccontato. In un pianeta pienamente tecnologico, gli uomini si sottopongono a interventi chirurgi per installare dei chip, nel quale sono contenute tutte le informazioni della persona, compresi i movimenti fisici, i soldi. E dove ci sono i soldi, c’è delinquenza:
“… come sempre dove l’uomo s’incontra con la tecnologia.” (Pag. 22)
Poi c’è la nostalgia del passato, un rimpianto rappresentato dal vecchio personaggio Assafgi.
Non solo erano spariti Israele e l’acqua ma perfino tanti cibi quotidiani e quasi banali nella nostra quotidianità. Non si trovavano più le sigarette, il caffè, la cioccolata, il sale e perfino la coca cola. Tanti noiosi salutisti esulterebbero, ma l’autore invece lancia la sua condanna, per esso l’irreperibilità di questi beni è come i libri bruciati di Ray Bradbury:
“… chi può dire se una vita breve e prudente sia meglio di una breve, scatenata e piena? […] ma non è sparita solo la Coca-Cola, ma anche le richieste a gran voce, la protesta, la libertà di decidere che il fumo è l’esattamente l’aria che vorresti inspirare nei polmoni.” (Pag. 186)
Oltre all’acqua era svanita, soprattutto, la libertà. Il tono dell’autore è non solo nostalgico ma anche ribelle:
“Prima, quando l’acqua scorreva libera anche noi scorrevamo in libertà …” (Pag. 207)
Non c’è molta speranza. Le Corporation sono spietate, possono e arrivano a tutto pur di non perdere utili.
A combattere il SEE, una specie di grandissimo fratello, c’è unicamente Maya. Da dolce, ubbidiente moglie si converte in donna combattiva e comprende l’isolamento di cui si era circondata per essere donna. La sua personalità si potenzia nel momento del pericolo. Trova la fierezza di lottare per l’acqua libera nel suo paesino di Charod, un piccolo villaggio. Sotto la guida di Maya i depressi abitati ritrovano il desiderio di lavorare tutti insieme con passione come accadeva negli scomparsi kippur.
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