Il Golem
- Autore: Gustav Meyrink
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2019
“Chi può dire di sapere qualcosa del Golem?... Si è soliti relegarlo nel mondo dei miti, finché arriva il giorno in cui per i vicoli del quartiere accade qualcosa che lo riporta in vita... sembra però che quest’uomo artificiale non fosse una persona vera, ma animato soltanto da un’oscura vita vegetale, pressoché priva di coscienza”.
Le parole del burattinaio Zweick risvegliano nel protagonista del libro Il Golem di Gustav Meyrink (Bompiani 2019, traduzione di C. Mainoldi) la convinzione che anche lui, in qualche modo, abbia avuto un’esperienza diretta con questa creatura misteriosa.
Siamo a Praga e, dato che il libro uscì nel 1915, è bene ricordare che l’aspetto della città e le vicende narrate siano legate ai tempi prima della Grande Guerra.
Il protagonista è un uomo che un giorno, nel duomo di Praga, scambia il suo cappello con quello di uno sconosciuto. Da quel momento, la vita di quest’uomo assume tratti surreali e lui stesso viene trascinato nei ricordi di Athanasius Pernath, un intagliatore di gemme vissuto trent’anni prima, attraverso improvvise e fantomatiche allucinazioni di persone e oggetti che, malgrado lui non avesse mai visto o conosciuto prima, gli si manifestano davanti agli occhi e scorrono in maniera vorticosa, lasciandolo, al loro svanire, in un completo disagio interiore.
Nelle prime pagine del libro, avviene l’incontro con uno strano essere che gli appare grande, calvo con occhi curvi e inespressivi. Una figura enigmatica che poi lui assocerà proprio con quella del Golem, l’essere che secondo la leggenda fu creato con il fango dal rabbino Löw, studioso di Cabala e della Talmud, e portato in vita grazie a parole segrete e magiche incise sul suo corpo. In questo incontro, l’essere gli consegna un libro, Ibbur, sulla fecondazione delle anime, e il personaggio principale viene proiettato in una serie di circostanze che lo avvicinano alle credenze religiose del popolo ebraico, a cui non era totalmente estraneo, dato che proprio nel quartiere ebraico viveva e lavorava.
Meyrink descrive molto bene il quartiere ebraico di Praga: un susseguirsi di case vecchie e logore, scure, ammassate e appiccicate l’una all’altra, che costringono i passanti a camminare in strette viuzze, contorte e sporche. Anche i loro interni non ricordano nulla del tepore di una casa accogliente: gli ambienti sono freddi e spogli e dovunque è presente l’oscurità, anche perché la luce del giorno, che attraversa i vetri delle finestre, è quasi sempre una costante coltre di nuvole grigie, fioca e debole.
Il lettore si ritrova quindi immerso in un ’atmosfera asfissiante, in un labirinto di case e cortili, negozi che rinchiudono umani come animali in uno zoo: Gustav Meyrink ci sta parlando di un ghetto, il ghetto ebraico. Una fauna di gente poverissima, disadattati, malati, reietti che vivono ai margini della società. Si parte dall’emblema del quartiere, il repellente e odiato da tutti rigattiere Wassertrum, l’uomo che il protagonista addita come osceno, che sfrutta chiunque e si arricchisce ai danni di altra povera gente e fin da subito entriamo nella paranoia del narratore, che si sente più volte minacciato da quell’uomo. La sua figura è dappertutto, come se lo stesse seguendo e origliasse alla sua porta di casa.
Poi, c’è la giovane Rosina, già avvezza alle pratiche di seduzione degli uomini, ma in veste di perenne umiliata. Tra i suoi corteggiatori ci sono i giovani fratelli Loisa e Jaromir, il primo dedito a furti e a elemosinare per poter sopravvivere, il secondo sordomuto geloso delle avance del fratello verso Rosina.
Infine, arriva Charousek (lo ammetto: il mio personaggio favorito), povero studente di medicina, che ci intrattiene con i suoi monologhi sulla sua personale idea di giustizia/vendetta delirante, quanto mai appassionata, perché proviene da un animo fondamentalmente buono, ma deviato, influenzato dalla durezza di una vita di stenti, e debilitato dalla malattia e dal suo odio verso Wassertrum.
Usando uno stile espressionista tipico dell’epoca e molto presente nella letteratura mitteleuropea, i personaggi sembrano indossare maschere di un dramma teatrale. Non è un caso che abbia iniziato questa recensione con le parole di un burattinaio. Questi abitanti del ghetto sembrano veramente dei burattini, pupazzi senza una propria volontà, alla mercé di un’esistenza che li ha destinati a diventare vittime per il solo fatto di essere nati in quel posto.
Ma nel libro Il Golem troviamo anche personaggi positivi, come il rabbino illuminato Hillel (che rappresenta il bene, mentre Wassertrum è il male) e la sua compassionevole figlia Miriam, che aiuteranno il protagonista a capire l’importanza di risvegliare e tramutare la propria coscienza, portandola a una dimensione sovraumana, lontano dalle catene della sofferenza che impediscono all’anima di ricongiungersi con l’eterna armonia.
La Praga di Gustav Meyrink è una città magica, ma il messaggio esoterico-iniziatico non lo si vede con gli occhi alla luce del giorno, ma lo si percepisce con la mente nel buio della stanza del narratore, in quella del rabbino Hillel, o nelle incomprensibili schegge di memoria di Athanasius. È un viaggio verso il basso, verso i meandri della coscienza e conoscenza umane e i tentativi di redimere la propria natura che ci lega al velo dell’ignoranza.
Gustav Meyrink, che dopo alcuni anni dalla pubblicazione del libro, nella sua vita privata, abbracciò il buddismo, era convinto che gli uomini sono ciechi o dormienti, perché si limitano a lodare Dio senza capire quanta parte di tale divinità è in loro. Un potere che si può schiudere manifestando la sua bellezza e potenza solo attraverso una dura disciplina gnostica.
Nel Golem, il messaggio di Gustav Meyrink non è quello di limitarsi a una lettura fantastica della storia, ma anche capirne il profondo significato.
Non è un libro di facile lettura. La trama è resa difficile da un’atmosfera in bilico tra sogno e realtà, dove il tempo assume dei connotati non lineari. Ulteriore elemento di difficoltà è il sovrapporsi nella narrazione della coscienza di uno sconosciuto, Athanasius Pernath, del quale non sappiamo nulla se non quello che sta sperimentando l’io narrante; solo alla fine scopriremo l’identità di entrambi.
Ho letto il libro nell’edizione Tre Editori, con la traduzione di Anna M. Baiocco (che cura anche una bella ed esaustiva prefazione, che consiglio vivamente di leggere prima di accingersi alla lettura del racconto) e con le splendide litografie originali dell’illustratore amico di Meyrink, Hugo Steiner-Prag.
Il Golem
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