Il bianco inizio
- Autore: Emanuel Carnevali
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Anno di pubblicazione: 2010
Ci sono uomini che nascono per raccogliere su di sé il dolore degli altri. Emanuel Carnevali è uno di questi. A diciassette anni, lascia l’Italia e “dimentica” la propria lingua per diventare poeta in America. La parabola di questo abitante della Grenze artistica del primo ventennio del Novecento, ingegno irrequieto, in rotta con tutto e tutti, perfino con se stesso, che trova i suoi versi nella sordida miseria delle topaie affittate a New York, nello squallore dei lavori più umili, si tende velocemente sopra l’oceano, mentre le navi riversano ai piedi della Statua della Libertà il loro carico di schiavitù e disperazione, e in Europa, giovani ragazzi come lui sono mandati a morire nelle trincee della prima guerra mondiale. Nel 1919 la parola di Carnevali ha conquistato il proprio posto nell’orgia umana e letteraria d’America. È riuscito a entrare in contatto con i più importanti poeti italiani contemporanei e per primo li ha tradotti in inglese. Ma anche il dolore, che lo accompagna pesante come un macigno fin dall’infanzia, si è fatto strada insieme al successo. L’encefalite lo costringerà a seguirlo, in un sogno a tratti lucido a tratti delirante, avviandolo a una sofferta discesa verso la più lunga notte della solitudine.
Un corpo spezzato tra estasi e delirio che tende dall’Europa all’America la sua carne impastata all’apparizione vibrante della poesia, per disegnare una curva sopra l’oceano, “il mare pulsante, il mare di Ulisse e di Herman Melville”, perché lui è Oceano, padre dei fiumi, prima sorgente, primo dio.
E il suo grido è insieme orgasmós e rifiuto del mondo, denuncia dell’umiliante famelica deprivazione inflitta dall’uomo all’uomo ma anche offerta da immolare al fango e alla sporcizia dello scempio. Questa inquieta adesione, che si potrebbe dire una teofania del riscatto dell’individuo ai margini, tuttavia sempre contenendo il seme di un polemico violento distacco dai merciai profeti dell’integrazione ad ogni costo, ci parla di un poeta e uno scrittore trascinato al fondo di una sofferenza che fa essa stessa parte per sé. Non è valida per nessun insegnamento, s’impone nella roulette della vita come un pezzo di materia grezza, senza forma né concetto.
Così è Carnevali, dopo aver incastrato la zattera della sua traballante Odissea nel putrido bazar dei vicoli di New York. L’italiano ribelle, esule volontario in America da quando il suo paese gli ha sbattuto in faccia un secco rifiuto, facendone prima un orfano degli affetti familiari e poi della propria cultura, nella quale avrebbe dovuto riconoscersi e provare a salvarsi, volta le spalle a tutto e diventa un clandestino nei sentimenti e nella scrittura.
È nel dramma di questa identità interrotta, lacerata dalla folle coerenza con cui professa l’abbandono, perfino di se stesso, che Emanuel fa sorgere il suo dio “in a smoky light”, volto di un’ebbrezza dissociata e sconveniente, sollevato con grazia disadorna e incomprensibile nel “paese nero” che a momenti cercherebbe di schiacciarlo. Qui, nella distanza, sembra ormai dissolto anche l’inizio, il “bianco inizio” da cui ha risalito, ma non risolto, l’arco della vita. Con la perdita della madre il figlio ha fatto morire anche la propria lingua, finché la sua voce ha mimato un silenzioso interminabile gesto ad accompagnarlo nello scenario desolato della malattia. In questo Eraclito scorgeva per l’appunto il suo dio che “non dice, non nasconde ma significa”.
Simile a Oreste, fiaccato dagli assalti del nósos inflitto dalle Erinni, il quale si dibatte lungo un confine di solitudine, e come Hölderlin, il poeta del tempo della doppia indigenza, il cui verso agli occhi di Heidegger più di tutti incarnò la rappresentazione del Letzer Gott, sospeso tra il non più degli dei fuggiti e il non ancora del Dio adveniente, Emanuel Carnevali si volge e rivolge tra un’origine e una meta che scompaiono di fronte al suo avanzare:
“So durchlauf ich des Lebens / Bogen und kehre, woher ich kam”.
Ma il moto di ritorno, a questo Odisseo che si aggira nel travaglio del primo Novecento, è assolutamente precluso. A lui la parabola dell’esistenza ha riservato la follia – che del resto colse molti dei suoi ingegni più creativi, e proprio lo stesso Hölderlin che come lui anelò a riportare agli uomini una traccia del divino.
Francesco Cappellini, in una nuova traduzione da lui curata, ci presenta sei prose memoriali che toccano i momenti chiave del viaggio di un artista considerato un maverick in tutti gli ambienti letterari statunitensi, impegnato com’è ad abbattere l’inautenticità e smascherare il rischio, corso continuamente dalla cultura e dalla scrittura, di rigettare i contenuti per far largo alla moda.
Al pari di un Godwi che si sottrae alle insidie del clamore e insegue nei boschi la visione della statua piangente della madre, bianca, come Robert Walser, pietra dilavata dalla corrente, viandante più di ogni altro, che dalla densità della propria inquietudine attraversa mille volte se stesso e accenna alla leggerezza dei sogni fino a quella della morte, cui dette appuntamento un mattino sul bordo di un sentiero coperto di neve, bianca; come la calce che copre i corpi ammassati nelle trincee d’Europa, bianca sui ragazzi convinti o costretti a combattere la nuova guerra e la sua vecchia menzogna.
Anche di questo risuona la scrittura di Carnevali, è come il rumore di fondo che abita l’universo e non si arresta mai.
Eppure, qualche chiara immagine di innocenza sembra ancora scorgersi nell’assurdo turbinare della violenza e dello scandalo inumano:
“Fuori, pura la neve e l’azzurro cielo di ghiaccio. Fuori gli uomini gustano il gelato azzurro dell’aria. Fuori c’è ancora salvezza”.
È l’uomo che con tutte le sue forze vuole uscire dal meccanismo che lo costringe dove altri lo spingono, perché sia arrendevole e, finalmente complice della propria sconfitta, smarrisca se stesso. Un uomo che a un certo punto si è sentito nient’altro che un rumore e un vento, si è messo sulle strade del mondo e lì ha esposto il fremito delle proprie membra, perché altri lo imparassero e ne continuassero il canto.
- Titolo: Il bianco inizio e altre prose memoriali
- Traduzione e cura di: Francesco Cappellini
- Editore: Via del Vento edizioni
- Collana: Le Streghe
- Anno: ottobre 2010
- Direttore responsabile: Fabrizio Zollo
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