Il colpo di grazia
- Autore: Ambrose Bierce
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2018
Guerra di secessione americana, 1861-65. Sette racconti brevi. Combattimenti, sangue, soprattutto orrore, quello reale, conseguente alla violenza degli uomini ed anche quello soprannaturale, quando prevale il mistero. Era uno scrittore molto valido Ambrose Gwinnett Bierce (Horse Crave Creek Ohio 1842 – Cihuahua 1914), ma nelle short tales della guerra civile ad esprimersi è soprattutto il giornalista. Sono sette in tutto i racconti proposti da Mattioli 1885, casa editrice di Fidenza, Parma, nella raccolta dal titolo “Il colpo di grazia” (2017, 120 pagine, 10 euro), che riprende le “Tales of soldiers and civilians”, pubblicate per la prima volta nel 1891 e riapparse nel 1897.
È stato scrittore, giornalista e aforista il tagliente Ambrose, per lo spiccato cinismo dei suoi giudizi lo chiamavano non a caso “Bitter Bierce”, l’amaro Bierce. Insofferente delle convenzioni fin da giovane, ultimo dei dieci figli di una famiglia legata ad una comunità di fanatici pentecostali, finì presto per rivoltarsi contro il padre e la religione.
Colse al volo un momento quanto mai importante per la storia degli Stati Uniti. Ventenne, non si lasciò sfuggire l’occasione della vita. Era in corso la guerra tra il Nord e il Sud e Bierce si arruolò tra le giacche blu dell’Unione, secondo nella sua contea. Nell’esercito nordista combattè a Shiloh, Chikamagua e in altre battaglie sanguinose, meritando i gradi di tenente del IX Fanteria dell’Indiana.
Respinta la proposta di restare sotto le armi, si ritrovò in bolletta e senza lavoro, a San Francisco, dove un’altra fortunata opportunità arrivò a cambiare ulteriormente la sua vita. Una testata gli offrì di seguire la cronaca nera. In breve, tanto le sue indubbie capacità di scrittura che il proverbiale cinismo, l’anticonformismo e una gran dose di spirito fecero di lui una delle penne più popolari e lo resero l’uomo più perfido di San Francisco, secondo i contemporanei, con enorme soddisfazione personale.
La guerra che Ambrose G. Bierce racconta nelle sue pagine è davvero totale, mostrata in tutto il suo orrore, senza filtri o autocensure.
Nel racconto “Un cavaliere in cielo”, una sentinella nordista sonnecchia colpevolmente durante il turno di guardia. È Carter Druse, un virginiano che ha voluto militare controcorrente con i federali. Il padre aveva ribattuto che il Sud avrebbe ben potuto vincere la guerra senza di lui e gli aveva solo raccomandato di fare sempre quello che considerava il suo dovere. Un cavaliere in divisa sudista avvista i reggimenti unionisti nascosti nel bosco. Druse prende la mira, quello lo guarda. Carter spara e lo uccide. Era il padre.
Moralmente e materialmente drammatico anche il primo dei racconti, “L’episodio di Coulter’s Notch”. Un generale insiste cocciutamente per fare effettuare un cannoneggiamento da un solo pezzo nordista contro dodici cannoni sudisti schierati accanto ad una casa. Il coraggioso capitano d’artiglieria Coulter è stranamente restio ad obbedire e non per codardia. Il superiore è irremovibile, impone il suo grado e la sua decisione. Nelle esplosioni muoiono la moglie e il figlio dell’ufficiale nordista, ma virginiano. La casa era proprio quella di Coulter e non disponeva di rifugi a tenuta di esplosioni. Necessità tattiche del bombardamento? Nessuna. I grigi erano in ritirata. Il generale aveva voluto colpire per ripicca, per vendicarsi della signora che abitava in quell’abitazione: un’irriducibile sostenitrice della Confederazione.
È degno della migliore letteratura del mistero il corteo spettrale di feriti e mutilati nel racconto “Chikamagua”. Prevale nelle storie brevi di guerra civile di Bierce un odio surreale, freddo, privo di animosità tra i combattenti. E poi, tanti morti, cataste di cadaveri, un tramonto dei valori, un black out dell’umanità. La banalità, sanguinosa, del male.
Tornando a “Chikamagua”, proprio quel racconto ha molto probabilmente ispirato un famoso romanzo, ambientato in quella guerra fratricida, “The red badge of courage”, di Stephen Crane, “Il segno rosso del coraggio”. Un soldato unionista diciottenne prima si allontana vigliaccamente da una battaglia che credeva persa, poi si riscatta, tornando nei ranghi e trascinando dietro di sé i compagni alla vittoria, agitando una bandiera raccolta per terra.
Stephen Crane, che, nato nel 1871, non aveva partecipato per ovvie ragioni di età ai combattimenti della guerra di secessione, era rimasto letteralmente folgorato dalle vicende apprese divorando magazine, racconti e libri. A sua volta, si dedicò a quel conflitto, firmando oltre al romanzo il racconto “Il piccolo reggimento”, che dà il titolo al libretto (Mattioli 1885, 94 pagine 10 euro), in cui è proposto insieme a un altro, “La scialuppa”, nato da una sua disavventura come cronista di guerra, a Cuba, durante il conflitto Usa-Spagna.
Il colpo di grazia
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