Il comportamento della luce
- Autore: Nic Kelman
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2008
Nic Kelman, newyorchese, classe 1977, ha esordito ufficialmente nel 2004 e lo ha fatto, è il caso di dirlo, senza andare troppo per il sottile: il romanzo del suo debutto, "Girls", non è certo un ingresso in punta di piedi nel mondo della letteratura. Spregiudicato, sfacciatamente crudo (e a tratti sboccato), amante dei particolari e dall’eclettismo pressoché sterminato, Kelman sembra avere un’esigenza predominante su ogni altra: quella di raccontare, dando voce ai suoi personaggi, i perversi e teneri e strani e dilanianti chiaroscuri che caratterizzano gli esseri umani, che ci rendono unici, speciali, vividi. Umani, appunto.
E se "Girls" era servito da iniziale vettore per presentare schiettamente la sua poetica (questa sua predilezione per la "ritrattistica"), la seconda fatica, "Il comportamento della luce", ne è una lampante, disarmante conferma. Irregolare come qualsiasi terrena sfumatura, e ad un tempo cesellata come un gioiello al punto da rasentare il metafisico, l’opera dà la dimostrazione di come non occorrano pretese di psicanalisi o spocchiosi scientismi per indagare l’uomo, ma soprattutto il suo più grande contraltare, la sua forza uguale e opposta: la donna. No, per Nic Kelman sono sufficienti gli occhi di chi ama, e come gli occhi il suo cuore e la sua dedizione, la volontà di non abbandonare i propri propositi oltre la fine, di narrare al mondo una storia che valga la pena di essere conosciuta - poco importa se quella storia provoca dolore, rabbia, lacrime, sangue; poco importa se conserva e conserverà sempre strascichi indelebili. Del protagonista (e intermediario) di questa storia, tutto si può dire, tranne che non ami, e che nel suo amare non infonda tutta la strabiliante e toccante devozione necessaria a penetrare la scorza di chi è oggetto del suo amore (e della sua successiva disperazione).
E’ grazie a questo potere che Alex (questo il suo nome) trova il coraggio di parlare nel dettaglio della sua Letitia, di lasciare che il mondo assapori insieme a lui le ultime, preziose tracce della presenza perduta di lei; è grazie alla pazienza, alla fedeltà e ad una invidiabile (proverbiale, quasi) caparbietà se, nonostante tutto, può lucidamente accompagnarci in uno scioccante viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta di una donna rara e bellissima, quanto piena di indecifrabili segreti, che nemmeno lui (come chi legge) riesce a spiegarsi del tutto.
Attraverso Alex e il suo triste resoconto, Kelman ci avverte che niente va mai dato per scontato; che amare è un costante impegno a tentare di sondare l’altro, di apprenderlo; che per evitare veramente di perdere qualcuno a cui teniamo più che a noi stessi, dovremmo impedirgli di compiere passi senza di noi al fianco. Sorvegliarlo, proteggerlo, consapevoli che anche solo un istante di distrazione potrebbe rivelarsi fatale. Persino la felicità di Alex e Letitia, dapprima così infrangibile e indiscutibile, è scivolata via: la progressiva e irreversibile depressione di Letitia (che lo stesso Alex prova a far risalire a episodi rimossi dell’infanzia, mai completamente chiariti, e del rapporto con e tra i suoi insoliti genitori) ha finito ben presto per trasformarsi in una follia senza scampo. Persino due persone fatte l’una per l’altra possono cadere, seguendosi a vicenda nell’abisso.
Ci sono autori contemporanei, come Nicholas Sparks, che prediligono l’aspetto più candido di una vicenda amorosa, o almeno quello più consacrato da un’intoccabile valenza spirituale, di matrice cristiana; o altri come Guillaume Musso, recente rivelazione della narrativa europea, che mescolano a frenetici inseguimenti tra cuori in tumulto delle consistenti pennellate di sovrannaturale. E poi c’è lui, Kelman, che con l’inarrestabile stream of consciousness del suo sfortunato eroe Alex incide a fuoco, semplicemente, la doppia anima di ogni (im)perfetta relazione: da una parte il sentimento, puro e platonico, che si manifesta in molti momenti di grandissima dolcezza, complicità e gioco; dall’altra, l’erotismo e l’ossessivo desiderio carnale, il mutuo scambio di fluidi e umori, l’urgenza di addentare il fulcro fisico del partner come una mela succulenta.
Nessuna arma manca nell’arsenale dell’autore (e del protagonista): i campi semantici da cui si attinge per descrivere Letitia sono innumerevoli e spaziano dalla filosofia alla fisica, dalla matematica alla geografia. Alex la rievoca perennemente, non secondo un rigido schematismo cronologico, ma cavalcando l’andamento e il mutamento delle sue condizioni psichiche, mentali e corporee: perché è proprio Letitia a scandire tutto, il tempo, lo spazio, gli eventi. E lui, che tanto la amava e ancora la ama, ne è il cantore, come un odierno Orfeo che, malgrado Euridice sia ormai intrappolata in eterno nell’Ade, non può dimenticarla. E nemmeno lo vuole.
Ovviamente, libertà assoluta di giudizio per chi vorrà intraprendere quest’avventura; non sarò io, con i miei entusiasmi, a condizionare le impressioni altrui. Ma una cosa, se mi è concessa una considerazione di chiusura, voglio affermare con sicurezza: se "Il comportamento della luce" non sfiora le nostre corde più intime con dita invisibili o, volendo essere più diretti, se non commuove, mi domando davvero che cos’altro sia in grado di farlo al suo posto.
Recensione di Jacopo La Posta
Il comportamento della luce
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