La matrice panica dei racconti di E. A. Poe è assumibile in senso interiore. Pesino i racconti che ammiccano ad apparenti sbocchi soprannaturali possono tradursi come espressioni allucinatorie, sofferenze psichiche, psicosi che dislocano il perturbante in esperienza terrifica. È ciò che più interessa lo scrittore di Boston: niente risulta essere più angosciante della nostra metà oscura. Non c’è arcano che tenga: nessuna zona d’ombra è commisurabile all’ombra che abita i viluppi inesplorati di noi stessi. Da questo inconnu discende ogni proiezione fantasmatica, discendono i cuori rivelatori, i gatti neri, gli abbacinii interiori di Gordon Pym, l’ossessione-attrazione per la morte, la paura. La paura che dunque, in primo luogo, è paura di noi stessi, della nostra predisposizione scissoria. Chi siamo, in fondo? Il giovane perbene, amante dei gatti, “noto per la docilità e l’umanità di disposizione” (…) o l’uomo in fin di vita che si professa assassino e divorato dall’odio per i felini? (Il gatto nero). Cosa può succedere quando lo slittamento verso l’altro da noi raggiunge coordinate tanto estreme? Quando scopriamo i volti parossistici del subconscio prendere possesso della nostra mente?
Nella crasi interiore fra sé e altro da sé si colloca a proprio agio lo specifico poeiano. Un’immanenza angosciante: il compiersi di una sovversione identitaria, rinforzata da possibili cormobilità psichiatriche, interiori ed esteriori, come l’ipersensibilità malata (La caduta della casa Usher), la predisposizione alla follia (Ligeia), o la dipendenza alcolica (L’angelo del bizarro). Un ulteriore quesito, nella fattispecie pleonastico: quanto il lapidario estensore dell’orrore psicologico (“tutti gli eccitamenti che vogliono essere intensi, per necessità psicologica, han da essere brevi”) è prossimo al Poe poeta visionario-decadente?
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La meticolosa traduzione di tutte le sue poesie, curata da Alessandro Manzetti per Cut-Up Publishing (Il corvo e tutte le poesie, illustra Stefano Cardoselli) si offre come occasione per fugare ogni dubbio, e rintracciare cioè una continuità contenutistico-formale tra lo scrittore e il verseggiatore. Eleganti il cartonato e la bella copertina dark della raccolta Cut-Up.
La poetica di Edgar Allan Poe
A partire dalla stra-ordinaria perturbanza del Corvo che reitera i suoi funerei “Mai più”, l’intera poetica poeiana si connota di focus interiori, estetizzati attraverso i topoi di un romanticismo sofferto (Solo, A mia madre, Il lago, A Helen), influenzato da eco classicheggianti (Tamerlano, Al-Aaraaf) e visionari (La valle dell’Inquietudine, Spiriti dei morti, Il Palazzo Stregato, Fantasticheria).
Le puntualissime traduzioni di Manzetti dimostrano insomma come il Poe-narratore cominci/finisca dove comincia/finisce il Poe-poeta, secondo l’estimatore Baudelaire capace di “qualcosa di profondo e di luccicante come il sogno, di misterioso e di perfetto come il cristallo”.
La poesia da cui deriva il titolo della raccolta (Il corvo) avoca a sé gli statuti del manifesto lirico-letterario di Poe, declinando la tensione interna delle strofe nel progressivo dilaniarsi interiore del protagonista, fino al culmine della follia. Da una parte l’io-narrante che (rim)piange l’amata morta, dall’altra il corvo-parlante che continua a reiterare i suoi “mai più”. Le domande che l’uomo rivolge all’uccello del malaugurio (non a caso) si fanno via via più profonde, di rimando al crescere esponenziale dell’angoscia. Al cospetto di un corvo proiezione di un io-diviso fra la tensione di ricordare la donna amata e quella di dimenticarne la morte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il corvo e tutte le poesie: la poetica di Edgar Allan Poe
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