Il desiderio di Dio di David Baddiel

Si può intavolare una discussione su Dio e usare tutta la comicità di cui si è capaci, così come si può parlare concretamente della non esistenza del suddetto e rimanere, pur nella serietà dell’argomento e portando avanti solide dimostrazioni, spassosi dalla prima all’ultima parola. È quello che è riuscito a fare lo scrittore e sceneggiatore britannico David Baddiel nel suo Il desiderio di Dio. Chi non vorrebbe che esistesse?, edito da Altrecose (2024) nella traduzione di Fabio Cremonesi e con la prefazione di Luca Sofri.

Dopotutto trovo la non esistenza di Dio molto deprimente.

È un ateo a parlare nel centinaio di pagine che compongono questo volume, o meglio ancora un individuo che si è auto-appioppato il termine di fondamentalista ateo, di certo consapevole di quanto sia meglio dare una base solida alla propria posizione all’interno dell’ampio spettro di possibilità. Un ateo che parla di Dio soltanto quando è davvero necessario e che spazia invece dalla morte della regina Elisabetta ai rituali della Pesach, facendo leva sulle proprie origini. Un ateo ebreo membro della Social Society of Literature, dal ciuffo scompigliato e la barba incolta, che sciorina le ragioni dell’assenza di un essere supremo nel suo orizzonte partendo dall’impasse che lo attanaglia fin da bambino, quando per la prima volta ha dovuto confrontarsi con la morte.
Con un’acuta lucidità, David Baddiel vede nel desiderio il punto centrale del binomio presenza/assenza di Dio. Morte, oblio, il bisogno tutto umano di avere una narrazione e la complementare ricerca di un senso a quest’ultima hanno spinto l’uomo a desiderare, ardentemente e follemente, un’entità suprema. D’altronde, sostiene l’autore, l’idea di Dio lo alletta e non poco, perché

Chi non vorrebbe avere un papà supereroe in grado di sconfiggere la morte?

Il problema sorge nel momento in cui, nella cruda realtà, il desiderio smisurato obnubila e offusca la mente dei possessori di tale desiderio, senza dimenticare che desiderare ardentemente qualcosa non comporta che questo qualcosa esista poi nell’effettiva concretezza dei fatti.

L’ateismo analizzato in queste pagine è consapevole dei limiti dell’ateismo stesso. David Baddiel sa bene che l’ateo rischia di essere anzitutto un blando macho, pronto a rinchiudere l’altrui desiderio di consolazione nel cassetto delle “robe da bambinoni”. E sa pure che l’assenza di Dio può virare in un nonnulla al masochismo. Ma la cosa fondamentale è che questa condizione non deve mai, per nessuna ragione, travalicare il rispetto dovuto all’altro essere umano.

Spero che essere ateo non sia come aggirarsi tra gli appassionati di fumetti a un grande raduno di cosplayer urlando: “Cosa state facendo, mocciosi? Nessuno di questi personaggi è reale!” Gli esseri umani investono emotivamente molto nelle storie. Per loro è importante. E non ignorano che ciò in cui stanno investendo sia un’invenzione, anche se ci costruiscono intorno ogni tipo di realtà artificiale. Fare il cosplayer dell’Uomo Ragno è una versione del desiderio di Dio.

Sarebbe anche bello che, coltivando l’ateismo, l’essere umano possa migliorarsi: mettere in moto un umanesimo più solido, saper sfruttare la massima del carpe diem, scrollare di dosso il misticismo da quelle branchie della scienza che sembrano le principali alleate di chi non crede in Dio. Ma non è così; l’incompletezza degli umani è tanto presente quanto la rovinosa influenza della religione nella politica internazionale.

Fra questi tornanti in pieno stile montagne russe, che non rifiutano riferimenti letterari e tweet (né, ovviamente, il Jesus Christ Superstar!), Il desiderio di Dio risulta essere un pamphlet assai intelligente e con un peso specifico non da poco, illuminante soprattutto (come sottolinea Luca Sofri nella prefazione) in una realtà, quella italiana, che rimbalza l’argomento dietro i vuoti richiami al rispetto, scalciando via Dio dall’arena dell’opinione pubblica.