Il genio infelice
- Autore: Carlo Vulpio
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2019
Chiarelettere edita “Il genio infelice” (2019) di Carlo Vulpio, il “Romanzo della vita di Antonio Ligabue” (Zurigo, 18 dicembre 1899 – Gualtieri, 27 maggio 1965), come recita il sottotitolo del testo, che racconta l’esistenza tormentata del celebre pittore italiano, al quale nel 1977 venne dedicato uno sceneggiato Rai diretto da Salvatore Nocita, con protagonista Flavio Bucci nel ruolo di Antonio Ligabue.
Lui, Antonio Laccabue, sì, Laccabue all’anagrafe, era figlio di sua madre ma solo di sua madre. Un figlio di NN, insomma e letteralmente un figlio di puttana.
Sta nel “vulnus” che riguarda le sue origini, quella profonda ferita che “Toni Al Matt”, si trascinò per tutta la vita. La madre di Antonio si chiamava Elisabetta Costa, era nata a Cencenighe Agordino, un paese in provincia di Belluno, figlia di contadini e analfabeta. Quando era rimasta incinta fuori e prima del matrimonio, sedotta e abbandonata dal padre naturale di Antonio, dopo un solo rapporto d’amore, aveva ventotto anni. Una ragazza madre in un paesino veneto di contadini e minatori alla fine dell’Ottocento rappresentava discredito, disonore e vergogna. Perciò Elisabetta, l’ultimo anno e l’ultimo mese del XIX Secolo, partorì il figlio della colpa in Svizzera a Zurigo, dove la giovane era emigrata per sfuggire alla miseria e alla riprovazione sociale, riuscendo a trovare un lavoro saltuario come operaia tessile. La ragazza madre, lì nel cantone di San Gallo, aveva dato a suo figlio il proprio cognome: Antonio Costa. Nella bella, ordinata e linda Svizzera, dove gli emigrati non erano visti di buon occhio, perché “rubavano” il lavoro ai residenti, Elisabetta aveva conosciuto un altro emigrante come lei, Bonfiglio Laccabue. L’uomo, che sarebbe stato il secondo padre di Antonio dopo quello biologico che l’aveva generato, proveniva da Gualtieri, provincia di Reggio Emilia.
I due emigranti, entrambi poveri, lui sarto e lei operaia tessile, si erano sposati e, a meno di un anno di vita, Antonio era diventato Antonio Laccabue. Ma gli sposi, che avevano messo al mondo altri tre figli, avevano scelto di allontanare Antonio, affidandolo a una coppia di svizzeri, Johannes Göbel ed Elise Hanselmann. Il motivo? Antonio “era l’uccellino estraneo alla covata di sua madre con Bonfiglio Laccabue”, nato da padre ignoto, come sapevano in Italia e come adesso si diceva anche a Zurigo tra gli emigrati italiani. “A me non mi hanno voluto”, avrebbe ripetuto Antonio sempre a se stesso fin da piccolo e quando, da adulto, lo scacciarono per isolarlo, questa sua convinzione avrebbe avuto il potere di diventare “ancora più feroce e assoluta”.
In questo bellissimo e originale romanzo redatto dall’autore, firma del “Corriere della Sera”, rivive come in un film la parabola di vita, segnata da più ricoveri in manicomio, di un uomo infelice, ma genio della pittura. Non è quindi un caso se dopo lo storico sceneggiato targato Rai, dove Flavio Bucci, con il suo sguardo folle e allucinato era quasi più vero dell’originale Ligabue, la vita del Van Gogh italiano, sarà prossimamente al cinema nell’interpretazione di Elio Germano. “Volevo nascondermi” sarà il titolo del film diretto da Giorgio Diritti, ma fu impossibile celare il talento e l’estro di un pittore che definirlo naïf equivale a sminuirlo.
Le opere di Antonio Ligabue, riconosciuto come uno dei più grandi artisti del Novecento, sono ospitate in mostre in Italia e nel mondo, da Mosca a Toronto, e prossimamente a New York e Pechino. Inoltre dal 1983 la Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, diretta da Augusto Agosta Tota, si dedica alla promozione e alla valorizzazione dell’opera del pittore.
So che nessuno mi crede, e forse nemmeno tu, ma io andrò nei più grandi musei del mondo.
Il genio infelice. Il romanzo della vita di Antonio Ligabue
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