Il giradischi di Tito
- Autore: Miha Mazzini
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2008
Generalmente si storce il naso, e a ragione, davanti ad un libro tratto da un film già esistente. Ci si immagina che un “romanzo” così concepito non possa essere molto di più di una semplice trascrizione della sceneggiatura, e spesso, purtroppo, non ci si sbaglia. In questo caso, però, anche non avendo visto il film dal quale questo libro è stato tratto (un film sloveno, dello stesso Miha Mazzini, intitolato “Sweet dreams are made of this”), mi sento di poter affermare che il romanzo è perfettamente vivo, affascinante ed interessante anche senza l’ausilio delle immagini. Anzi, personalmente ho saputo dell’esistenza del film dopo avere letto quasi tutto il libro, e sono rimasta abbastanza meravigliata nello scoprire che era stato il libro ad essere tratto dal film, e non viceversa. E’ vero che la narrazione ricorda per molti versi un film del filone verista, ma avevo attribuito questa sensazione all’ambientazione, non certo a qualche debolezza nello stile o nella trama. Si narra, dopotutto, di un Paese e di un periodo molto particolari, di una ribellione che cova sotto la cenere e che accomuna la storia di una Nazione e quella di un suo giovane e timido cittadino.
Sono gli anni Settanta e la Slovenia è ancora parte della Yugoslavia. Bisogna innanzitutto rendersi conto che, rispetto agli altri Paesi della federazione, la Slovenia è sempre stata il meno chiuso: certamente la vicinanza all’Italia ed all’Austria ha giocato un ruolo molto importante in questo. Negli anni Settanta, dunque, vi sono grossi segni di apertura, non ultimo il permesso di ascoltare musica proveniente dall’estero. Per i giovani sloveni è il primo passo verso la crescita, l’indipendenza, la libertà alla quale anelano. Ogni fine settimana gruppi di ragazzi si dirigono verso Gorizia e passano il confine con l’Italia per acquistare dischi, jeans e vari altri articoli ancora introvabili a casa loro. Qualcuno potrebbe chiamarla smania consumistica, ma nella mente di un adolescente anche un disco di rock progressivo può rappresentare un’affermazione di sé stesso.
Egon, invece, è un tredicenne impacciato ed impaurito, un’aquila che non riesce a volare, oppresso com’è da una situazione familiare che sarebbe giusto definire adatta ad un film dell’orrore. Se l’anziana nonna che parla con le anime può essere accettabile e giustificata dalla demenza senile, non così si può dire della madre, che non sarebbe ingeneroso chiamare pazza. Ad ogni minimo sgarro da parte del figlio (si tratti pure semplicemente di correggerla nella pronuncia di un nome straniero), la madre inizia a recitare la sua parte di genitrice tradita e disperata, che porta sulle spalle il fardello di un figlio ingrato, incapace e perfino brutto. Il padre non esiste: non solo perché se n’è andato senza sposare la madre, ma anche perché il suo volto è sparito da tutte le foto. Egon ha come mito lo zio Vinko, che rappresenta per lui la gioventù e la gioia di vivere, ed è innamorato di Maja, che forse lo ricambia ma alla quale non riesce a dichiararsi. Ma il suo più grande desiderio, semplice ed irraggiungibile per un ragazzo come lui, è uno solo: un giradischi...
Seguire Egon nel suo percorso di affermazione del proprio essere è faticoso (l’ambiente oppressivo, la madre, l’insegnante di ginnastica…), ma è anche un’esperienza affascinante, la scoperta di un Paese, e con lui una nuova generazione, che sta per liberarsi ed affrontare i pro ed i contro di una nuova vita.
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