Il libro della neve. Avventure, storie, immaginario di Franco Brevini

Franco Brevini insegna Letteratura italiana all’Università di Bergamo. La professione spiega solo in parte la trasversalità dei suoi interessi. Assumendo come filo rosso il tema della neve ha infatti redatto un volume fluviale e sontuoso, divagante tra gli ambiti più disparati dell’espressione culturale e artistica. Si intitola Il libro della neve. Avventure, storie, immaginario, esce nella luminosa collana “Grandi illustrati” de Il Mulino e dei suoi contenuti si può soltanto prendere atto.

Commentare è difficile, in quanto è un libro bastante in sé: nulla da togliere e nulla da aggiungere alle 328 pagine attraverso cui inquadra-emblematizza-trasla il fenomeno neve da obiettivi suggestionanti quanto efficaci. Si comincia con il senso di stupefazione e reverie infantili davanti i paesaggi ammantati di bianco, si scavalla negli ambiti della poesia e della letteratura ispirati all’argomento. Una slavina (per attenerci al tema) di citazioni: dalla neve come sfondo metaforico dei classici Andersen ("La piccola fiammiferaia", "La regina delle nevi") e Stevenson ("Regalo di Natale") al perturbamento e al senso dell’effimero che promanano dalla figura ricorrente del fanciullo di neve e dalla “neve che si strugge al sole”.

La neve è un archè e questo libro lo dimostra come meglio non si potrebbe. Qualcosa che trascende e va al di là del mero accidente atmosferico (ma il testo comprende anche un capitolo che tratta “La neve della scienza”). La neve si intreccia alla storia dei popoli (gli Inuit, per esempio) e alle leggende (quella dello Yeti, in primis). Decide le sorti delle battaglie (“La guerra bianca”, capitolo VIII), ostacola e/o accompagna le imprese degli scalatori (“Dall’Inferno alle vette”, capitolo XIV). Sulla neve si gioca (“Giochi d’inverno”, pag. 71) e per la neve si muore (“La bufera”, capitolo IX). La neve affascina. E si teme. Si celebra in versi e si ritrae in dipinti. Di volta in volta, epifania, rivelazione, sfondo ideale anche per la cultura di massa, della quale Brevini non lesina peraltro i riferimenti (romanzi, film, persino fumetti).

La neve è una materia sfuggente, mutevole, che cambia già mentre scende dal cielo e, per i processi di metamorfizzazione, continua a modificarsi anche quando si deposita a terra. Durand la definisce ‘un ostacolo epistemologico’, perché sfugge a ogni classificazione e certo non può essere liquidata come semplice acqua gelata. Fondendo al sole, parla della labilità e dell’effimero, ma, stratificandosi nei ghiacciai, serba la memoria di età remotissime. Scendendo dal cielo evoca la sensazione della leggerezza, ma una valanga primaverile che si abbatte su un villaggio lo schiaccia e lo distrugge con la sua umida pesantezza (…) La neve con il suo candore è stata per secoli uno dei contrassegni della bellezza femminile, ma, nella lirica funebre barocca, il suo colore ha potuto riconvertirsi nel cereo pallore della morte. Di fronte alle esuberanze carnali dell’estate, la neve richiama il calore di White Chrismas e delle atmosfere natalizie, ma anche il gelo terrificante dell’ultima notte di Scott in Antartide. Ha accompagnato la gioiosa felicità delle corse in slitta di Puskin, quanto il mortale incidente degli alpini nella sacca del Don raccontato nelle pagine di Rigoni Stern. La ritroviamo nell’incanto delle scene invernali della pittura olandese e nella desolazione dei quadri di Friedrich. Ci sono le nevi ghiacciate delle vette himalayane, emblema di strenua conquista, e il gelo assoluto che regna negli ultimi tre canti dell’Inferno dantesco…

I concetti con cui l’autore introduce senso e cominciamento del suo itinerario nel bianco, restituiscono, come si vede, le stratificazioni e lo spessore di un testo da leggere, consultare, e rileggere spesso. Dimenticavo: la corposa messe di immagini (b/n e colori) a corredo del testo, rendono Il libro della neve un volume piacevole anche da osservare.