Il mare dei corsari
- Autore: Giacomo Scotti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2016
Vele russe in Adriatico, oltre un secolo prima della creazione della flotta sovietica e due battaglie di Lissa già nel 1810-11, ma senza navi italiane. Sono pagine di storia marinara sconosciute ai più quelle che l’istriano Giacomo Scotti offre nel suo “Il mare dei corsari”, un saggio edito da Mursia nel 2016 (pp. 268, euro 17,00). Russi e inglesi contro i francesi, a vele spiegate e cannoni in batteria, da Venezia al Canale d’Otranto, tra il 1797 e il 1815. Duelli navali, incursioni, sbarchi e colpi di mano per l’intero periodo napoleonico.
Fin dalla prima campagna d’Italia del 1796, il generale Bonaparte aveva cercato di rendere il bacino adriatico un lago francese. La terraferma, le coste del meridione, quelle centrali pontificie, le Venezie, l’Istria e la Dalmazia erano diventati territori nominalmente sotto il controllo di Napoleone, dei re francesi di Napoli o dei governi cisalpino e cispadano. Mancò però il dominio del mare, conteso dall’impegno navale russo nell’Adriatico centro-meridionale e poi dalle unità britanniche fin nel golfo di Venezia.
Se non si realizzò il sogno napoleonico di estromettere tutti i nemici dalle acque adriatiche tra i litorali italiani e la Dalmazia, si dovette soprattutto alla guerra corsara condotta dai britannici, che trovarono interpreti efficaci nelle popolazioni italiane e slave della Dalmazia, abituate a praticare la pirateria per secoli. Mentre però questa può considerarsi la versione marinara del brigantaggio terrestre, endemico nel Centro-Sud della penisola, la guerra di corsa è una variante irregolare di quella navale, dal momento che il corsaro si batte al servizio dell’uno o l’altro contendente, munito di autorizzazioni della parte alla quale si riconosce fedele: una “lettera di marca” o “di corsa”, appunto.
Scrittore, romanziere, storico e giornalista di origini napoletane, nato nel 1928, emigrato in Istria nel 1947 - cittadino onorario di Monfalcone - Giacomo Scotti ricostruisce questa storia trascurata facendo tesoro di un’ampia serie di racconti. Coprono soprattutto l’arco degli otto anni “corsari”, terribili per le popolazioni dell’area dalmata.
Le curiosità, tra le tante, sono legate alla presenza di unità dello Zar, spina nel fianco per i battelli napoleonici in Adriatico. Diversamente dagli Austriaci, che non disponevano di naviglio di qualche importanza - avendo avuto fino ad allora lo sbocco a mare precluso dalla Repubblica di Venezia – i russi avevano inviato una flotta nello Ionio e in Adriatico, provvedendo nel anche ad occupare militarmente le Bocche di Cattaro, sulla sponda balcanica. Nel febbraio 1806, sei fregate stracariche di truppe erano approdate a Ragusa (oggi Dubrovnik) e nell’insieme Alessandro arrivò a schierare in Adriatico una forza navale di ventisei navi, forti di seimila uomini.
I francesi cercarono di annullare in ogni modo una presenza nemica che li impensieriva. Giunsero ad assediare Ragusa e a minacciare le Bocche, ma quando un anno dopo la Russia ritirò i suoi contingenti, questi vennero sostituiti da navi inglesi e corsare. Pessima notizia per la Francia e i regni italici bonapartisti, perché a questo punto la sfida si fece perfino più gravosa.
Nel 1810 si giunse alle due citate battaglie di Lissa. Su iniziativa britannica, l’isola dalmata era diventata una sorta di Tortuga dell’Adriatico, base operativa dei corsari, allestita e protetta dagli inglesi. Un primo sbarco francese di sorpresa ebbe successo, ma il comandante della spedizione, temendo il sopraggiungere di forti soccorsi nemici, ordinò il reimbarco dei suoi, vanificando il vantaggio tattico. I sudditi di Sua Maestà britannica, infatti, se l’erano vista brutta, con sessantotto battelli perduti, insieme all’intero carico. Un duro colpo, non sfruttato però dal il capitano Dubourdieu.
L’anno dopo, la squadra franco-partenopea tornò a impensierire Lissa, su ordine diretto dell’imperatore, ma nel marzo 1811 andò incontro ad un completo disastro, perdendo più di duemila uomini in un vero scontro navale e lasciando novecento prigionieri.
Vittoria ai punti, quindi, per i russo-britannici nel decennio abbondante di sfide, ma chi pagò le conseguenze del conflitto permanente fu di certo la costa istriana, che in tempo di pace aveva detenuto un posto di primo piano nella pesca, nella marineria e nel commercio marittimo fra le due sponde. A causa della guerra di corsa dal 1806 al 1813, subì un forte declino in Adriatico. Dalla costa italiana le navi arrivavano assai di rado, il traffico era rarefatto, sempre stentato, ridotto al piccolo cabotaggio sulle rotte costiere locali.
Spiritosamente, Giacomo Scotti conclude che in maggior parte i legni predati portavano nomi di ispirazione religiosa: fatto sta che anche Madonne e Santi dovevano vedersela brutta con i corsari, in quelle acque.
Il mare dei corsari: Russi, francesi e inglesi in Adriatico. 1797-1815
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