Il nettare dell’immortalità. Ultimi insegnamenti
- Autore: Nisargadatta Maharaj
- Genere: Autostima, motivazione e pensiero positivo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2006
Io sono ciò per cui so che Io sono
Questa massima misteriosa, del tutto simile a quella del roveto ardente incombustibile di fronte a Mosé: Io sono Colui che è ( in realtà il verbo ebraico qui è al futuro: Io sono Colui che sarà, a indicare la perennità extra temporale dell’Essere), è pronunciata dal Maestro indiano Nisargadatta Maharaj. Riassume egregiamente il contenuto del suo libro Il nettare dell’immortalità (Ubaldini edizioni, pp.155, 2006).
Suona come un mantra, ne assolve la funzione. Un mantra ripetuto sapendo tenere la mente vuota da tutto il resto, penetra lentamente, va dalla coscienza a ciò che chiamiamo inconscio. È questo il nettare, cibo degli dei, identico all’ambrosia dei Greci e dei Romani. Con nomi differenti la verità si rivela uguale a se stessa.
Nettare in sanscrito è amrita, il cui significato è “immortalità”.
Eppure Nisargadatta Maharaj ha bisogno di spiegare con parole semplici, la cui comprensione è accessibile, alla portata di tutti, di molte pagine per raggiungere lo scopo che la formula si prefigge: staccare l’attenzione dai desideri, dall’ansia del tempo che in senso lineare scorre (o pare scorrere) dal passato al futuro, imprimendo nella psiche la paura del domani e della morte.
La liberazione dai vincoli spazio temporali e passionali avviene tramite la meditazione, che ha molte modalità per estrinsecarsi. In oriente è quasi sempre necessario avere un maestro come guida.
Un’altra formula, un altro mantra della tradizione Advaita Vedanta, adottato dal Maestro è "Brahmasmi" che tradotto diventa "Io sono il Supremo", dove "io" nulla ha a che vedere con la personalità egoica, ma si dilata nell’identificazione umana con il Tutto.
La differenza, se proprio vogliamo trovarne una, tra la mistica indiana e la frase biblica sta nel fatto che il roveto ardente appare esterno al profeta Mosè, mentre in verità è in lui, simbolizza l’essere imperituro di cui egli comincia ad avere consapevolezza, che seguirà per condurre il popolo fuori dall’Egitto, libero da schiavitù fisiche e mentali. Anche nel considerare l’Esodo siamo dentro metafore profonde…
Forse non occorre aggiungere altro su questo magnifico libro, da leggere con leggerezza, ascoltandolo risuonare dentro di sé.
Il parallelismo biblico è una mia intuizione, adatta a noi occidentali. È una via d’accesso alla comprensione di un’altra cultura, un filo che ci lega e fa sentire fratelli. La ragione seziona e separa, l’intuizione unifica, trova affinità e concordanze.
L’autore nella sua vita terrena è stato un tabaccaio, non si è ritirato nella foresta o in un monastero. Sposato, ha generato quattro figli, non è l’ascetismo rigido e coatto a forgiare la mente di un santo.
A Bombay per lunghi anni ha ricevuto in casa, fino alla dipartita da questo mondo, avvenuta nel 1981, tutti coloro che necessitavano della sua parola illuminata.
Non è certo facile vincere il drago del desiderio. Con ciò, non si deve intendere l’uccisione delle varie attrazioni, ma la capacità di dirigerle, senza divenirne servi. L’equidistanza, poi il distacco e la rinuncia, avvengono per gradi, con la pratica che conduce alla conoscenza del vero Sé, Atman, spirito individuale, identico in sostanza ed essenza al Brahman cosmico.
Il nettare dell'immortalità. Ultimi insegnamenti
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