Il paese dove non si muore mai
- Autore: Ornela Vorpsi
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2005
“Dedico questo libro alla parola umiltà, che manca al lessico albanese. Una tale mancanza può dar luogo a fenomeni assai curiosi nell’andamento di un popolo.” Ornela Vorpsi
Attraverso la lente della distanza, l’autrice albanese focalizza e immortala sequenze della sua vita e del suo popolo durante la dittatura.
Come lo definisce la stessa autrice, questo romanzo d’inizio è l’autobiografia dell’Albania, ma forse perché è pittrice, Ornela Vorpsi non costruisce una trama uniforme, ma disegna, con pennellate lievi e brevi, immagini mnemoniche individuali e collettive: la memoria di un popolo quello albanese che ha patito la dittatura di Enver Hoxha.
La sua è la condizione di chi lascia la propria terra e la lontananza non offusca i ricordi, ma ritornano vividi e s’impressionano per sempre nella pellicola della mente. Scorre il nastro e sequenze senza senso crono/logico sorprendono come una sorta di arretramento negli anni. Sul filo di una sottile ironia la scrittrice rievoca fatti e misfatti della sua infanzia, adolescenza e prima giovinezza nell’Albania degli anni 70/80, guidata e fagocitata dal Timoniere, il compagno Hoxha. La stessa protagonista autobiografica racconta in prima persona, in un italiano essenziale, ma fresco e giovane, la bambina Ina di 7 anni, la ragazzina Eva di 13 e la giovane Ornela di 22 ; attraversa gli anni della Madre-patria con la stessa duplicità di sentimenti, l’ingenuità che la rivoluzione socialista facesse pareggiare i conti e il disinganno che dà giusto il contrario di quello che promette di dare. La natura leopardiana è matrigna nelle promesse agli uomini e la natura comunista concretizza gli ideali propagandistici in tragiche disillusioni: il sogno della ragione genera mostri. Nel paese, l’Albania, dove non si muore mai perché fortificati da interminabili ore passate a tavola, la paura è una parola senza significato e la morte è un processo estraneo (…di contro le persone scompaiono come inghiottite in un tetra voragine ), nei riti quotidiani di prendere il caffè al mattino o a casa o al bar, (solo gli uomini), mentre si occhieggiano le belle ragazze scorre la vita nel paese dove tutto (tranne quello che succede agli altri) è eterno. Si vive di regole radicate e ramificate, nate spontaneamente come le foglie sulle piante, che si fondano sull’ equazione maschilista: bellezza = puttaneria. Sarebbe una sciagura, pensa la tredicenne Eva, cresciuta senza padre, incarcerato non si sa bene perché, da una famiglia matriarcale, se fosse nata svergine di natura, cosa avrebbe fatto, Madre-partito? Nell’ordine delle idee maschili, se sei bella sei troia, rimanere incinta è la scopata concretizzata, spesso, delle ragazze giovani si gettano nel lago per porre fine alle sofferenze e a volte alla vergogna, per poter naufragare insieme al dolore. Tutto diventa tragedia come se il popolo albanese avesse bisogno di tragedia e la inventasse dal nulla come il Creatore inventa gli uomini da un nulla di polvere. Nel flusso della memoria e della coscienza emergono personaggi, essenzialmente, al femminile, come la zia e la cugina sospettose della sua bellezza foriera di vergogna, l’amata madre Diella, la cui bellezza folgorante passa sotto gli occhi ammirati degli uomini e quelli invidiosi delle donne, è chiusa nella sua tristezza che nemmeno tenta di nascondere. La figura del padre è marginale, anzi estranea perché è stato in prigione per anni e dopo si risposerà con un’altra donna, un sentimento di non amore tra loro due è reciproco.
I libri, per Ornela sono il suo nutrimento, molti dei quali proibiti dal regime; la più grande punizione che le potessero infliggere era l’interruzione del libro, sequestrato, censurato:“ interrompeva il mio scorrere d’essere”. Stupefacente la scoperta del quadro di Dalacroix La liberté guidant le peuple, con il velo posto nel suo libro di storia sui seni della giovane raffigurante la Libertà. Ma l’indottrinamento a scuola del materialismo dialettico ingabbia il suo desiderio di abbracciare un universo infinito, l’aspirazione a qualcosa di mistico…tutte insane idee per Madre-partito!
Un gioco tra lei e la cugina diventa un episodio tragicomico: vogliono giocare alla guerra in un duello di Romeo con il Tibaldo dei Capuleti, accanto a Giulietta dormiente-morente. Trovano in un’anfora nascosta in giardino degli oggetti bianchi, lisci e lunghi più vicini alle spade. Mentre incrociano le pseudo spade e piccoli pezzetti volano, la nonna si accorge di loro, impallidisce e toglie dalle loro mani quegli oggetti spade. Più tardi apprendono che sono le ossa di un figlio fucilato a 17 anni dal partito come traditore, perché aveva cercato di attraversare la frontiera per raggiungere la ragazza slava di cui era innamorato. Non doveva essere sepolto, ma un cugino era riuscito a trafugare il corpo e la madre l’aveva seppellito in giardino per sentirlo vicino. Solo negli anni ’80 ebbe quel corpo una degna sepoltura.
Anche per lei viene il tempo dell’addestramento militare, le esercitazioni di tiro, la disciplina, l’uniforme stretta, le scarpe troppo grandi… nella comunità dei tanti Ornela si trova male: disagio, sofferenza di un regime che imprigiona i corpi, le menti, che riduce all’obbedienza cieca senza domande e discussioni…La vena sferzante e irriverente tocca toni quasi comici, bisogna “Imparare a difendere la patria, per di più la nostra, invidiata da tutto il mondo per la sua marcia così riuscita verso il comunismo”, tuoneggia il Timoniere, Hoxha. Gli imperialisti americani, gli sciovinisti russi, i grandi capitalisti italiani e francesi sono pronti a sbarcare per distruggere l’esempio della parità in terra, l’esempio di una società che non ha più lotte di classe, che non conosce antagonismi nel suo seno, la società più evoluta mai conosciuta dalla coscienza umana. Il destino umano già segnato dallo Stato! La coscienza dell’uomo nuovo creato da Partito sarà maturata a tal punto che ciascuno prenderà solo quello che gli serve e nient’altro.
La vita in quel paese maledetto diventa insostenibile madre e figlia partono verso la terra promessa, una decisione presa senza pensarci troppo e senza sapere dove sarebbero andate. Arrivano in Italia, ai loro occhi un altro mondo, eppure così simile al loro, la stessa erba verde, la gente che cammina pure utilizzando i piedi e poi a… Roma. Ma gli Albanesi hanno capito che lontani dalla loro terra possono morire, la solitudine prende la forma dell’ ulcera allo stomaco, le pillole non liberano l’animo dall’afosità dell’esistere, la spensieratezza lascia il posto all’angoscia e tanti ritornano nell’assolata Albania. Non ne vogliono più sapere delle terre promesse. Hanno capito che lì si muore, e loro non vogliono.
Nel romanzo si riscontrano tre momenti di narrazione con una costante comune: l’ironia declinata in tre gradi differenziati; psicologica nel tratteggiare i difetti, le abitudini, la mentalità della gente albanese, graffiante, cupa nella descrizione dell’oppressione comunista, dolente e nostalgica nel ricordo che morde l’animo e si traduce in sofferenza inconsolabile.
Questo libro è una singolare esperienza di lettura che non si esaurisce nella prima e unica, ( perché sembra di lasciare qualcosa in sospeso), la rilettura diventa un imperativo per acquietare lo spirito.
Ornela Vorpsi è nata a Tirana nel 1968. Ha studiato Belle Arti in Albania, poi, dal 1991, all’Accademia di Brera. Questo è il suo primo romanzo, già pubblicato in Francia e in corso di traduzione in una decina di paesi.
Il paese dove non si muore mai
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il paese dove non si muore mai
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Ho trovato questo libro davvero intenso e interessante. Di un’ironia così acuta e tremenda nello stesso tempo.