Scritto nell’ottobre del 1831 Il pensiero dominante è il canto che inaugura la fase della nuova poetica leopardiana, secondo il critico letterario e valente italianista Walter Binni.
In questa lirica, inclusa in apertura del Ciclo di Aspasia, si concretizza il nuovo senso di personalità e di ampiezza spirituale di Giacomo Leopardi che prende le distanze dai toni elegiaci e nostalgici dell’idillio: questa nuova poetica leopardiana non guarda più con favore al passato come rifugio ed evasione, ma è ambientata in un “eterno presente” e si rende così portavoce di un’istanza critica e filosofica.
Emerge la voce di un Leopardi più combattivo, anti-idilliaco: la poesia non presenta più determinazioni di genere spazio-temporale, ma diventa universale, collocata in una dimensione fatta di comunione intima con l’ideale.
Assistiamo all’ascesa dell’atteggiamento eroico che troverà la propria massima espressione ne La Ginestra, anticipata dal riferimento a “questa età superba” che si fa specchio riflesso del “secol superbo e sciocco” e delle “magnifiche sorti e progressive” contro cui si schiererà, in aperto atteggiamento polemico, il poeta.
In virtù del pensiero d’amore, Leopardi si sente superiore al tempo vano e all’età superificiale in cui vive. L’amore diventa la spiegazione somma, la risposta a ogni affanno, ciò che esemplifica l’attaccamento dell’uomo all’esistenza:
Pregio non ha, non ha ragion la vita
Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto
Ancora una volta Leopardi ragiona d’amore, introducendo filosoficamente il sentimento che verrà trattato compiutamente nei canti del Ciclo di Apasia, ispirati dall’innamoramento per la nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti, colei che si celava dietro il sehnal di Aspasia in riferimento alla seconda moglie del filosofo Pericle.
Il pensiero d’amore domina su tutto il resto e il poeta vi si rivolge con un immediato e intimo “tu”: singolare, anche in questo caso, come in Amore e morte, che Leopardi non si rivolga alla donna amata ma proprio all’Amore personificato, inteso in senso universale e filosofico. Soltanto nella strofa finale del componimento emerge la solenne invocazione ad Aspasia; tuttavia non è a una donna in carne e ossa alla quale il poeta si rivolge, ma a “un’angelica beltade”, a “un’angelica sembianza” di matrice quasi stilnovista, una persona che si trasfigura in un ideale divenendo immagine perfetta e “sovrana” di tutte le cose terrene.
Nella sua struggente opera di adorazione Leopardi giunge a identificare la donna amata con lo stesso “pensiero d’amore”.
Scopriamone testo, analisi e parafrasi.
“Il pensiero dominante” di Giacomo Leopardi: testo e parafrasi
Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente;
Terribile, ma caro
Dono del ciel; consorte
Ai lúgubri miei giorni,
Amore, dolcissimo e possente dominatore della mia mente, tremendo eppure così caro dono del cielo. Compagno dei miei cupi giorni.
Pensier che innanzi a me sì spesso torni.
Di tua natura arcana
Chi non favella? Il suo poter fra noi
Chi non sentì? Pur sempre
Che in dir gli effetti suoi
Le umane lingue il sentir propio sprona,
Par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona.
Pensiero d’amore che ti affacci così spesso dinnanzi alla mia mente. Chi non discute della tua misteriosa natura? Chi non ha avvertito il suo potere assoluto su noi esseri mortali? Ognuno secondo il suo sentire è portato a dirne gli effetti, ma è una riflessione nuova meditare su come questo pensiero dominante agisce e ragiona.
Come solinga è fatta
La mente mia d’allora
Che tu quivi prendesti a far dimora!
Ratto d’intorno intorno al par del lampo
Gli altri pensieri miei
Tutti si dileguàr. Siccome torre
In solitario campo,
Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.
Come è divenuta solitaria ora la mia mente, nella quale tu (Amore) hai preso la tua dimora. Hai depredato tutti i pensieri miei al pari di un fulmine che tutto fa dileguare. Sei come un’imponente torre in un campo solitario, giganteggi sovrano nella mia mente.
Che divenute son, fuor di te solo,
Tutte l’opre terrene,
Tutta intera la vita al guardo mio!
Che intollerabil noia
Gli ozi, i commerci usati,
E di vano piacer la vana spene,
Allato a quella gioia,
Gioia celeste che da te mi viene!
Tutte le cose terrene, al di fuori di te, mi sono venute a noia, tutta la vita è noiosa e futile al mio sguardo. Che noia intollerabile le fatiche, i commerci, i doveri quotidiani dinnanzi al piacere, alla speranza, alla gioia quasi divina che mi dà il pensiero d’amore.
Come da’ nudi sassi
Dello scabro Apennino
A un campo verde che lontan sorrida
Volge gli occhi bramoso il pellegrino;
Tal io dal secco ed aspro
Mondano conversar vogliosamente,
Quasi in lieto giardino, a te ritorno,
E ristora i miei sensi il tuo soggiorno.
Come un pellegrino che, dai sassi rocciosi dell’arido Appennino, rivolge lo sguardo a un campo verde che da lontano sembra sorridergli. Così, come quel pellegrino, io voglio conversare con te, in un giardino sereno, poiché il tuo soggiorno nella mia mente ristora i miei sensi dal futile chiacchiericcio mondano.
Quasi incredibil parmi
Che la vita infelice e il mondo sciocco
Già per gran tempo assai
Senza te sopportai;
Quasi intender non posso
Come d’altri desiri,
Fuor ch’a te somiglianti, altri sospiri.
Mi sembra quasi incredibile che riuscii a sopportare così a lungo senza di te la vita infelice e il mondo sciocco. Ora quasi non riesco a sentire altri desideri, altri sospiri, che non ti somiglino.
Giammai d’allor che in pria
Questa vita che sia per prova intesi,
Timor di morte non mi strinse il petto.
Oggi mi pare un gioco
Quella che il mondo inetto,
Talor lodando, ognora abborre e trema,
Necessitade estrema;
E se periglio appar, con un sorriso
Le sue minacce a contemplar m’affiso.
Sempre i codardi, e l’alme
Ingenerose, abbiette
Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
Subito i sensi miei;
Move l’alma ogni esempio
Dell’umana viltà subito a sdegno.
Prima, quando concepivo questa vita come una prova, il timore della morte mi stringeva il petto con angoscia; oggi invece mi appare un gioco la Morte che pure questo mondo così meschino teme e aborrisce, pur lodandola come necessità estrema della vita. E se pure mi sembra pericoloso contemplare, con un sorriso, le sue minacce, ho sempre avuto poca considerazione per le anime codarde, meschine, misere. Ora ogni atto disonesto mi tocca nel profondo, provo sdegno nei confronti di ogni azione vile compiuta dagli esseri umani.
Di questa età superba,
Che di vote speranze si nutrica,
Vaga di ciance, e di virtù nemica;
Stolta, che l’util chiede,
E inutile la vita
Quindi più sempre divenir non vede;
Maggior mi sento. A scherno
Ho gli umani giudizi; e il vario volgo
A’ bei pensieri infesto,
E degno tuo disprezzator, calpesto.
Mi sento superiore adesso a questo secolo così presuntuoso, che si nutre di vuote speranze e apparenze, indulge in chiacchiere vane ed è nemico della vera virtù. Questo tempo sciocco che chiede solo l’utile inteso in senso materiale e non si rende conto che, così facendo, rende inutile la vita.
Ora mi viene da irridere i giudizi della gente, e il popolo intento in pensieri così superficiali e lontani da te, per essi nutro disprezzo e li calpesto.
A quello onde tu movi,
Quale affetto non cede?
Anzi qual altro affetto
Se non quell’uno intra i mortali ha sede?
Avarizia, superbia, odio, disdegno,
Studio d’onor, di regno,
Che sono altro che voglie
Al paragon di lui? Solo un affetto
Vive tra noi: quest’uno,
Prepotente signore,
Dieder l’eterne leggi all’uman core.
Alla grandezza alla quale tu muovi quale affetto non cede? Anzi quale altro affetto, se non Amore, risiede nella mente degli esseri mortali? Avarizia, superbia, odio, onore e ambizione non sono altro che inutili desideri materiali al cospetto dell’Amore.
Solo un affetto vero vive tra noi esseri mortali, quest’unico prepotente Signore (personificazione dell’Amore) che diede le sue leggi al cuore umano.
Pregio non ha, non ha ragion la vita
Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto;
Sola discolpa al fato,
Che noi mortali in terra
Pose a tanto patir senz’altro frutto;
Solo per cui talvolta,
Non alla gente stolta, al cor non vile
La vita della morte è più gentile.
Non ha altro pregio, non ha altra ragione d’essere la vita umana se non l’Amore, che per l’uomo è tutto. In sé l’Amore discolpa il destino ingiusto che ci condannò, in terra, a tanto dolore senza alcuno scopo. L’Amore è l’unica ragione per cui per la gente non sciocca, per il cuore non vile, la vita diventa più bella e gentile della morte.
Per còr le gioie tue, dolce pensiero,
Provar gli umani affanni,
E sostener molt’anni
Questa vita mortal, fu non indegno;
Ed ancor tornerei,
Così qual son de’ nostri mali esperto,
Verso un tal segno a incominciare il corso:
Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,
Giammai finor sì stanco
Per lo mortal deserto
Non venni a te, che queste nostre pene
Vincer non mi paresse un tanto bene.
Sarei disposto a vivere un’altra vita per provare le tue gioie, Amore, e sostenere per molti anni questa triste esistenza mortale. Ormai sono esperto delle pene mortali e sarei disposto a sopportarle, tra le sabbie aride del deserto e il morso del serpente (deserto e serpente sono metafore usate per descrivere la sofferenza e la desolazione insite nella vita, Ndr), avanzando stanco per venire a te, Amore, che solo sei in grado di vincere e consolare tutti i mali mortali.
Che mondo mai, che nova
Immensità, che paradiso è quello
Là dove spesso il tuo stupendo incanto
Parmi innalzar! dov’io,
Sott’altra luce che l’usata errando,
Il mio terreno stato
E tutto quanto il ver pongo in obblio!
Tali son, credo, i sogni
Degl’immortali. Ahi finalmente un sogno
In molta parte onde s’abbella il vero
Sei tu, dolce pensiero;
Sogno e palese error. Ma di natura,
Infra i leggiadri errori,
Divina sei; perchè sì viva e forte,
Che incontro al ver tenacemente dura,
E spesso al ver s’adegua,
Nè si dilegua pria, che in grembo a morte.
Che paradiso, che mondo incredibile è quello alla quale il tuo incanto, Amore, riesce a innalzarmi. Vedo sotto un’altra luce il miserevole stato dei mortali e dimentico la realtà. Sono questi, io credo, i sogni degli immortali.
Ah, finalmente un sogno che rende più bella la realtà, sei tu dolce pensiero, che sei illusione ed errore. Ma tra tutti gli errori mortali tu sei di natura divina perché sei così forte e capace di durare tenacemente anche nella realtà. Sei un pensiero così forte che spesso si adegua alla realtà e non si dilegua mai sino alla morte.
E tu per certo, o mio pensier, tu solo
Vitale ai giorni miei,
Cagion diletta d’infiniti affanni,
Meco sarai per morte a un tempo spento:
Ch’a vivi segni dentro l’alma io sento
Che in perpetuo signor dato mi sei.
Altri gentili inganni
Soleami il vero aspetto
Più sempre infievolir. Quanto più torno
A riveder colei
Della qual teco ragionando io vivo,
Cresce quel gran diletto,
Cresce quel gran delirio, ond’io respiro.
Angelica beltade!
Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro,
Quasi una finta imago
Il tuo volto imitar. Tu sola fonte
D’ogni altra leggiadria,
Sola vera beltà parmi che sia.
Sicuramente tu, mio pensiero dominante, unica ragione di vita dei miei giorni, ragione di tutti i miei dolori, sarai spento soltanto con la mia morte.
Sento dentro la mia anima i segni che tu sei signore possente, sovrano della mia persona. Altre illusioni mostrate nel vero aspetto si sono affievolite, tu sei l’unica a durare.
Quando torno a rivedere colei (Aspasia) di cui con te riflettendo io vivo, cresce in me una gioia, una follia, finalmente io respiro.
Tu, angelica bellezza! (si rivolge alla donna che riflette un ideale), ogni volto, dovunque io guardi mi pare un’immagine falsa che tenta di imitare la tua bellezza.
Tu sei la sola ragione di ogni grazia, sei la sola vera bellezza per me.
Da che ti vidi pria,
Di qual mia seria cura ultimo obbietto
Non fosti tu? quanto del giorno è scorso,
Ch’io di te non pensassi? ai sogni miei
La tua sovrana imago
Quante volte mancò? Bella qual sogno,
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell’alte vie dell’universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
Da quando ti vidi diventasti oggetto di ogni mia preoccupazione. Quanti momenti del giorno sono passati senza che io pensassi a te? Quante volte la tua immagine mancò nei miei sogni? Sei bella come un sogno, donna angelica, quando appari nella stanza terrena o negli alti cieli celesti. Cos’altro posso chiedere, cos’altro posso sperare, se non vedere i tuoi occhi? Non c’è pensiero più dolce del tuo pensiero.
(Il canto si chiude così in maniera circolare, di nuovo con l’invocazione al pensiero dominante).
“Il pensiero dominante” di Giacomo Leopardi: analisi e significato
Il pensiero dominante si caratterizza per lo slancio subitaneo, l’espressione assoluta di un Leopardi ormai maturo. Sin dal principio il pensiero dominante viene definito tramite contraddizioni quasi ossimoriche: “dolcissimo/possente”; “terribile, ma caro” sono queste le due qualità che il poeta associa al pensiero d’amore. Viene definitivamente superato il dualismo platonico: il “pensiero dominante” è sia immanente che trascendente all’anima dell’autore, si manifesta attraverso una visione chiara e consapevole che non necessita di alcun infingimento.
In questo canto Leopardi non cerca l’armonizzazione con la natura tramite metafore, similitudini o dettagli descrittivi; troviamo solo il riferimento al lampo che esprime la rapidità con cui tutti gli altri pensieri svaniscono al cospetto del sublime pensiero d’amore che trionfa rischiarando la mente.
L’amore per Leopardi è un’illusione che tuttavia ci rende cara la vita e, di conseguenza, la rende degna di essere vissuta. L’amore viene presentato, in questi versi, come un sogno che ci distacca dalla realtà e, padrone di tutte le illusioni, resiste tenace nella nostra mente sino alla morte.
Non a caso Il pensiero dominante è il primo canto del Ciclo di Aspasia che introduce l’assolutezza della passione ed è seguito da Amore e morte, composto nel 1832, che invece mostra in stretta relazione dialogica la componente distruttiva dalla passione. I due Canti sono strettamente correlati in un rapporto di interdipendenza perché sono consequenziali: dopo aver adorato Amore come “sovrano assoluto della propria mente”, a distanza di oltre un anno, Leopardi prende in considerazione la Morte come atto di vita. Amore e Morte diventano, insieme, piena espressione dell’assoluto.
Assistiamo al trionfo dell’Io leopardiano in questo canto, che si erge titanico al di sopra della “superba età” rifiutando lo squallido e meschino presente in cui vive. Possiamo già rintracciare gli accenti combattivi dell’ultimo Leopardi, tuttavia, nelle strofe conclusive, il ragionamento filosofico si scioglie in invocazione, si fa quasi melodia, mentre - discostandosi dal mondo delle idee - il poeta ci narra la passione per una donna: il “pensiero dominante” si trasfigura così nell’umano, eppure Leopardi sembra sempre parlarci di una sembianza, di una cara illusione sbocciata nella sua mente. L’esperienza dell’amore, infine, è ciò che rivela Leopardi a sé stesso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il pensiero dominante” di Giacomo Leopardi: il canto che celebra l’amore ideale
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