Il potere di Roma
- Autore: David Barbaree
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
La terra trema sotto il Vesuvio, la villa dei Pisoni è scossa, vetri si spezzano, statuette di bronzo cadono. Prodigi nefasti nel territorio di Partenope, il 19 agosto del 79 dopo Cristo. È nel Golfo di Napoli che tutta Roma è andata in cerca della brezza marina, in un’estate particolarmente afosa. Nubi oscure si addensano intanto a Oriente, in Partia. C’è tensione nell’aria, nel suolo, in politica, nel mondo conosciuto, quando prendono le mosse le vicende raccontate dal canadese David Barbaree nel secondo titolo della trilogia sui falsi Nerone, Il potere di Roma (Newton Compton, 2019, traduzione di Gabriella Diverio e Francesca Noto). Il primo, Il trono di Roma, è uscito nel 2018, sempre tra i romanzi storici della casa editrice romana.
Per quanto si tratti di narrativa storica gradevolissima, il romanzo è interamente opera di fantasia dell’avvocato romanziere che racconta storie verosimili documentandosi il giusto, ma concedendosi tante libertà e aggiungendo imprecisioni volute, quando servono allo sviluppo congeniale della trama. Alla morte dell’imperatore, nel 68 d.C., alcuni impostori volsero a loro vantaggio il sorprendente rispetto che il controverso Nerone riscuoteva presso la plebe e alimentarono il mito della sopravvivenza dell’ultimo esponente della gens Giulio-Claudia sul trono imperiale. Erano tentativi risibili e se a Barbaree è tornato utile rilanciarli, quello che conta storicamente - e che viene ben inquadrato da David nei romanzi - è che dopo un anno di vicende confuse e di guerre civili la candidatura di ben tre nuovi imperatori venne respinta a mano armata, col risultato dell’ascesa sul trono imperiale del generale Vespasiano, che vi rimase per un decennio avviando la dinastia dei Flavii.
Alla sua morte, gli successe nel 78 il figlio maggiore Tito, altro valido condottiero delle legioni di Roma. È con lui che Barbaree ci fa entrare nell’antro della Sibilla, a Cuma. Interrogata dall’imperatore, la sacerdotessa offre risposte inquietanti: il distruttore di Gerusalemme ne resta scosso, ma cerca di non darlo a vedere e all’uscita dalla grotta si fa beffe delle predizioni di quella che dopo tutto è solo una bambina sugli otto anni. Gli ha detto che quando l’ultimo dei Troiani sarà ad Oriente e Occidente, montagne cadranno e il cielo si riempirà di cenere nera, ma Tito si mostra sprezzante: chi potrà mai rovesciare le montagne?
Già, ma la terra trema nel Golfo. La sorella Domitilla è atterrita ed è proprio la figlia di Vespasiano a proporci un racconto in prima persona delle vicende, alternandosi nei capitoli ad altri due narratori in soggettiva. Uno è Gaio Cecilio, un bravo ragazzo che ama lo studio e le arti, nipote di Plinio Secondo detto Plinio il Vecchio, che pur provenendo dalla la classe equestre, nobiltà secondaria e non essendo ricchissimo, ha ottenuto grandi onori per le indubbie qualità. Grande scrittore naturalista, al momento il maturo militare-scienziato comanda la flotta romana a Miseno, a nord del Golfo di Napoli. È a sua volta preoccupato, lo impensierisce la rapidissima scalata nei favori imperiali di un soggetto uscito dal nulla, Lucio Ulpio Traiano.
Nel giro di nemmeno dieci mesi, questo senatore cieco proveniente dalla Spagna ha fatto breccia nella stima di Tito, arrivando a minacciare il prestigio dello stesso Plinio, che del generale e Cesare era primo e più sentito consigliere, almeno fino alla comparsa degli Ulpi. Lucio non è solo, con lui c’è il figlio Marco ed è su questo giovane che l’ammiraglio conta per venire a capo dei misteri della famiglia spuntata all’improvviso nel patriziato che conta. Ha deciso di mettere il recalcitrante nipote alle costole dell’Ulpio più giovane e Gaio non è affatto felice dell’incarico, trova l’amico forzato rozzo e sgradevole, ma la volontà dello zio non si può contrastare. Imbarazzante e comunque piacevole, per il ragazzo, la prima esperienza in un elegante bordello: Plinio intende fargli condividere la vita dei giovani scapestrati e viziati che compongono la cerchia di Marco, in modo da renderlo loro ben accetto.
Terzo narratore è Barlaa, un guerriero partico di buoni natali, ostaggio da 30 anni nella corte imperiale, ma libero di muoversi e frequentare il ceto migliore. Attraverso il suo giudizio sui romani apprendiamo quale fosse il loro aspetto. Lo straniero non li sopporta, detesta i capelli corti, i volti rasati, la grettezza, la licenziosità, la continua sete di sesso, bevute, commerci. Lo irrita il modo in cui vestono, i colori vivaci, le parti di pelle che lasciano scoperte: braccia, spalle, cinque ottavi di coscia e i polpacci depilati. Biasima la loro ipocrisia, la facciata di moralità che esibiscono sebbene restino “i peggiori debosciati”, ma più di tutto odia il loro senso di superiorità, il modo in cui chiunque di loro, dal più ricco all’ultimo dei miserabili, rivolga con aria nauseata l’epiteto “barbaro” a lui, di lignaggio reale.
Il racconto de Il potere di Roma si sviluppa in modo brillante, mettendo in risalto vizi e virtù, pubblici e privati, dei romani. La storia procede: attento, Tito, che la terra trema sotto il Vesuvio, qualcosa di terribile sta per accadere. Ricorda cosa ti ha detto la Sibilla, prima di cadere al suolo e vomitare bile nera…
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