Il sentiero selvatico
- Autore: Matteo Righetto
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2024
A Larcionèi, un paesino sulle Dolomiti, è ambientato Il sentiero selvatico (Feltrinelli, 2024), il nuovo romanzo di Matteo Righetto.
Siamo nel 1913, nel giorno dei morti, in un novembre iniziato dopo un lungo periodo di piogge:
Nessuno a Larcionèi serbava memoria di tanta pioggia negli ultimi cento anni, men che meno Tina che di anni ne aveva soltanto dieci. I più vecchi del paese tacevano, si limitavano a scrutare il cielo di soppiatto e a farsi il segno della croce…..Qualcuno mormorava mezze frasi sulla fine del mondo, qualcun altro si limitava ad affermare che il maltempo fosse annuncio di disgrazie imminenti…
A rafforzare funesti presagi era stata la comparsa del Lum de le Auróne, quelle luci bluastre, quasi sovrannaturali, comparse in cielo sopra le Auróne tra i monti, dall’altra parte della vallata.
Paolo e Marta Thaler, due giovani e laboriosi contadini con il viso già segnato dalla durezza di una vita di fatiche, si erano recati in chiesa con la loro piccola Tina, una bimba di dieci anni dallo sguardo profondo e vivo. Durante la celebrazione per il Giorno dei Morti, la bambina, prima accanto a mamma e papà, sparisce.
Nessuno l’ha vista muoversi, tantomeno uscire dall’edificio, eppure la bambina non si trova. Le ricerche, soprattutto per i boschi, durano un giorno e una notte fino a che, improvvisamente, Tina riappare. È pulita, con il vestito in ordine come quando era entrata in chiesa, per la funzione dei mòrč. Lei non ricorda nulla. Non sa di essere sparita, “Ho solo tanto sonno” dice a papà. Da questo momento hanno inizio le diffidenze, le maldicenze, i sospetti dei paesani che fanno ipotesi oscure sulla sua sparizione
Il prete si guardò intorno poi disse piano: “C’è molta paura Paolo. La gente è spaventata da quanto è accaduto alla piccola. Prima il Lum de le Auróne, poi la pioggia e infine la sparizione della bambina la notte dei morti. Sono tutti convinti che….”
“Che?”
“Che ci sia lo zampino dei morti, di qualche strìa o del diàol , capisci?”
Pensieri sussurrati, idee frutto d’ignoranza e di antichi retaggi fanno di Tina la vittima di un vero e proprio stigma: lei è ormai una strìa e l’intera comunità la rifiuta. Non l’accettano le famiglie del paese, non la guarda con benevolenza la maestra e neppure le compagne e i compagni di scuola. A rafforzare l’idea che lei sia fonte di disgrazie c’è l’improvvisa morte del parroco e poi, con il tempo, addirittura lo scoppio della Prima guerra mondiale. Tina soffre tantissimo per quelle ostilità e si rifugia sempre più nella natura i cui rumori non le sono mai ostili.
Quel cercar protezione e conforto nella natura fa apparire Tina ancor più selvatica e i paesani l’allontanano. Le rimane solo un amico, il compagno di scuola Francesco che passa con lei un po’ di tempo nonostante in paese di Tina si dicano tante tontolonade.
L’ostilità dei paesani non viene meno. A nulla valgono le parole di papà Paolo, per Tina tati, che davanti a tutti la difende a spada tratta dicendo che si è trattato solo di desdita, di sfortuna e che la sua bimba è normale e allegra.
Il romanzo, composto di tre parti, vede nelle prime due il manifestarsi di tanti eventi dolorosi. Il più disastroso e reale è senza dubbio lo scoppio del primo conflitto mondiale e la chiamata alle armi di tanti uomini tra cui Paolo, il tati della piccola protagonista.
Tina fa sogni strani e inquietanti:
Nei suoi sogni apparvero allora scenari di guerra, uomini straziati dal dolore e altri con atroci ferite... Poi di colpo si ritrovò scalza in un bosco carico di silenzio umano e di pace... Ecco che oltre la selva scorse un prato fiorito, pieno di papaveri rossi. Tina si incamminò ma si fermò di colpo quando la udì di nuovo. Eccola, era sempre quella voce di donna, proveniva da laggiù...
Avvolta da un’atmosfera quasi magica, Tina deve però fare i conti con un’amara realtà. Lei e la madre sono costrette, come i paesani, a lasciare Larcionèi e riparare in un luogo più sicuro. Qui sono fortunosamente accolte e ospitate da frau Hilde, una donna ormai anziana che tratta madre e figlia con affetto e premura ma Tina ha nostalgia
Rivorrei indietro il mio papà, i miei boschi, il Pore. Mi sembra di essere un larice cresciuto a lungo in un posto e poi segato improvvisamente in due
Il ritorno a casa, dopo la fine del conflitto è doloroso: Tina deve prendersi cura della madre vittima degli orrori e dei dolori della guerra.
Nella terza parte del romanzo la protagonista è ormai una donna, sempre più bella ma altrettanto selvaggia.
La schiena dritta e lo sguardo di brace, Tina restava immobile, dura come una statua, affrontando lo sguardo dei suoi vecchi paesani con una fierezza nuova. Se volevano continuare a darle della strega, ebbene, sarebbe stata una strega.
Oma, la mamma, prima di chiudersi come un giglio selvatico dopo il tramonto, lascia in eredità alla figlia vecchi ricordi nascosti. Tina scopre il suo ruolo particolare. Lei non è la strega che i valligiani dipingono ma di certo una creatura speciale di cui ogni lettore saprà procedendo nel romanzo.
Si rese conto che la sola differenza tra lei e gli altri era che lei poteva vedere cose invisibili ai più, come se esistesse un contatto tra il suo spirito e lo spirito di quella terra.
Nell’accettare, anzi nell’affermare questa sua peculiarità, Tina si fa più forte giorno dopo giorno. Con il ritorno alle amate selve e alle montagne Tina percorrerà quel sentiero che la condurrà a legami che si tramandano e cui lei non può sottrarsi. Sarà una creatura libera, scevra di quelle colpe di cui l’avevano coperta le pesanti voci maligne e malvagie di paese.
Il sentiero selvatico è una lettura viva e palpitante. Dietro la voce di Tina si riconosce quella di Matteo Righetto che, con il romanzo, esprime il proprio amore per le montagne e per la magica natura incontaminata. Il linguaggio è assolutamente fluido, intimo e pervaso di quell’autenticità e quella genuinità fatta di tante parole dette in ladino, l’idioma del luogo. Ogni lettore s’immerge in una realtà ben poco conosciuta, quasi magica, ma tocca con mano anche argomenti tanto antichi quanto attuali. Il tema dello stigma non è più quello delle streghe, ma ai tempi nostri riguarda altre caratteristiche sociali.
Il sentiero selvatico è un romanzo lirico, che ha la capacità di suscitare sogni, fantasie e sentimenti. È scritto per ritrovare atmosfere perdute e allo stesso tempo per riflettere su quanto, ancor oggi, il giudizio popolare si faccia infame e capace di allontanare dalla società chi a essa non si adegua.
Il sentiero selvatico
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