Il treno della memoria. Viaggio nel presente di Auschwitz
- Autore: Antonio Rinaldis
- Genere: Storie vere
- Anno di pubblicazione: 2015
Non basta dire Mai più: occorre volerlo fermamente
Il tempo è implacabile. I testimoni stanno scomparendo. Le prossime generazioni non ascolteranno il racconto dell’Olocausto dalla voce dei sopravvissuti. C’è il rischio che perdano il contatto emozionale con quanto è accaduto settant’anni fa. Contro il tempo non si vince, è indispensabile trovare un’alternativa al racconto diretto. Può esserselo, per i giovani, andare fisicamente dove si è consumato l’orrore. Viaggiare in gruppo, con i compagni di scuola ed altri coetanei, per raggiungere i luoghi dello sterminio e al ritorno trascrivere le impressioni e magari trovare chi quell’esperienza con loro e per loro la racconta, interrogandosi nel profondo, come ha fatto Antonio Rinaldis, nel libro “Il treno della memoria. Viaggio nel presente di Auschwitz”, per le edizioni Imprimatur (novembre 2015, 190 pagine 15 euro).
Non chiamatelo “professore” e nemmeno “prof.” – anche se nessuno sembra riuscire a farne a meno – preferisce “Antonio”. Insegna filosofia nei licei in provincia di Torino ed è contrattista all’Università di Milano. Ha già pubblicato saggi e romanzi, ma non si è mai messo a nudo, come nel percorso che teneva tanto a compiere e al quale, a un certo punto, avrebbe rinunciato volentieri, ma che alla fine ha portato a termine con profitto per tutti, lettori compresi.
Ha compiuto infatti quella svolta verso una “memoria dinamica” del ricordo, che Bruno Segre sollecita, a 98 anni suonati. L’ha realizzata passo per passo, chilometro per chilometro, lungo l’itinerario del treno. In realtà è un pullman, per ragioni economiche, secondo il progetto del Collettivo la Terra del Fuoco di Torino, che dal 2003 porta migliaia di studenti piemontesi nei lager di Auschwitz-Birkenau, un’esperienza “comunitaria viaggiante” per tenere acceso il ricordo dei campi.
Autostrada, Austria, sosta a Budapest, poi Slovacchia e Polonia. Ragazzi e ragazze caricano sull’autobus il rispettivo bagaglio caratteriale e sulle prime restano fedeli alla propria indole e abitudini. La trasformazione comincia dopo il Monumento delle Scarpe sulla riva del Danubio, a Pest, dove i tedeschi annegarono centinaia di ebrei, a fine 1944. Fecero togliere le calzature, li legarono a gruppi di tre e spinsero nel fiume, sparando ad uno solo, che avrebbe trascinato sul fondo gli altri due. Il cambiamento si completa al terzo blocco del lager di Auschwitz. Davanti ai capelli, alle valige, alle scarpe, agli effetti personali. Lì c’è il crollo emotivo.
Poi, il silenzio, il freddo, la vastità di Birkenau nella piana, la perfetta logistica della macchina dello sterminio, i vialetti di ghiaia e le costruzioni di mattoni rossi, in file ordinate e regolari. Ci sono perfino zone di verde davanti ai blocchi, come se quanto avvenisse dentro non fosse così crudele. Un’organizzazione sul modello di un’azienda moderna, che aveva come target produttivo l’omicidio del maggior numero possibile di persone. La morte come pratica burocratica. Non è solo la sofferenza che spaventa, ma la mancanza di una ragione. L’Olocausto ha ucciso sei milioni di ebrei, la metà degli israeliti europei, un terzo di quelli del mondo. Un milione e mezzo erano bambini. Ha cancellato la civiltà degli ebrei dell’Europa centro-orientale, che durava da un millennio.
E c’è chi nega lo sterminio di massa, chi lo ritiene “inventato” o esagerato, chi lo riduce a decessi per epidemie, chi non ha mai voluto credere al progetto di “soluzione finale”. Non mancano quanti sono disposti ad accettare perfino la teoria della “congiura ebraica”, contro Hitler e la Grande Germania. Ma le docce da cui non usciva acqua, il gas Zyklon B, i forni crematori, le selezioni vita o morte all’arrivo a Birkenau?
Non c’è speranza che capiscano. Ma qualcosa deve cambiare anche per chi è disposto a farlo: Segre insiste nella prefazione che il ricordo del male passato non può ridursi a celebrazioni retoriche, una specie di compensi postumi elargiti alle vittime e ai loro eredi. Rappresentano manifestazioni di una memoria statica, capace solo di rievocazioni sterili, meramente commemorative. Bisogna passare ad iniziative ispirate da una memoria dinamica, preoccupata di tenere viva la consapevolezza del male, per cancellarle dal futuro.
Non basta il ricordo dell’orrore, seguito dal rituale non deve accadere mai più: occorre andare oltre, spingersi sul terreno della riflessione, tentando di cogliere ogni aspetto della complessa dinamica socio-culturale e storica della quale la Shoah è stata l’orribile conseguenza.
Il momento è decisivo, per la storia del mondo, non solo dell’Europa. Lasciando cadere ogni maschera di buonismo, non si può non considerare che da quanto si è visto nel mondo in questi settant’anni - genocidi e delitti contro la specie umana, terrorismo planetario e odio etnico religioso – è sempre più difficile evitare che nuovi mostri ripetano la Shoah. Ma è obbligatorio tentare.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il treno della memoria. Viaggio nel presente di Auschwitz
Lascia il tuo commento