

In trincea sul San Michele
- Autore: Michele Lotti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2015
“Povero e triste amor mio! Vedevo sotto ai miei piedi aprirsi un abisso e presentivo che vi sarei stato trascinato, senza alcuna lontana speranza di salvezza!”
È irresistibile la malinconia di Michele Lotti, richiamato per andare a combattere la Grande Guerra, ma la ragazza del “cuor suo” non è quella che sposerà, sebbene siano dedicati alla sconosciuta i passaggi sentimentali nel diario scritto dal sergente pugliese durante il servizio al fronte. Ora tutti possiamo leggerlo, pubblicato da Mursia nel 2015, col titolo “In trincea sul San Michele”, a cura di Gerardo Cesari (pp. 148 pagine , più 10 pagine di foto in bianco e nero, euro 15,00).
Dunque, la donna di cui Lotti era tanto innamorato e che fu causa di contrasti familiari, non è la brava giovane ternana, Tina, sua moglie dal 1919, che gli darà tre figli. Ad informare i lettori in una franca premessa, è Cesari stesso, nipote del diarista. Ha trovato per caso un manoscritto dimenticato e si è accorto che si trattava di una stesura rielaborata delle note quotidiane originali. Ha deciso di trascrivere fedelmente il testo, suddividendolo in capitoli e paragrafi secondo gli eventi raccontati e rivedendo solo in parte errori e punteggiatura.
Qualche cenno biografico: Michele Lotti nacque nel 1892, ultimo di dodici figli di una famiglia agiata. Il padre, da semplice guardia forestale aveva saputo costruire una grande azienda agraria, che esportava olio e mandorle anche all’estero. Richiamato nel luglio 1915, Lotti aveva ripreso divisa e grado e dal Distretto di Bari aveva raggiunto la zona di guerra del suo reparto di fanteria: il Monte San Michele, una modesta altura isontina tra Gorizia e Monfalcone, pesantemente fortificata dagli austriaci.
L’impatto bellico è già nel capoluogo pugliese, raggiunto da tre aerei nemici. Nessun danno per lui, pochi per la città, ma orgasmo e panico indicibili. Erano i primi giorni di guerra, ma anche lontano dal fronte il conflitto moderno rivelava le sue inedite capacità di far male.
Giunto sul Carso, dopo un nuovo breve siparietto sentimentale, fece in tempo ad assistere al prolungato duello di controbatteria tra le artiglierie, che si procurano reciprocamente non pochi morti e feriti.
Anticipato da una salva di shrapnel la mattina del 10 luglio 1915, il battesimo del fuoco avvenne col primo assalto sul San Michele, davanti alle rovine di Sdraussina, ben descritto nel diario, a puntualizzare il sanguinoso andamento di quelle azioni carsiche. Alla baionetta su per il pendio, per aiutare il 196° fanteria in difficoltà, incalzato dal nemico in una posizione conquistata, che non poteva mantenere.
“Col cuore in gola: Savoia!!! Più morti che vivi, col colore cadaverico, cominciammo l’ascensione del monte, come meglio si poteva su quel terreno argilloso, balzando di macigno in macigno, appiattendoci ogniqualvolta si sentiva giungere un colpo, via di corsa fin quando raggiungemmo la linea. Qui aprimmo un fuoco indiavolato, il nemico giù nella vallata aveva intuito il sopraggiungere di nuove forze e cominciò a ritirarsi, allora avemmo l’ordine di caricarlo alla baionetta e balzammo fuori di corsa sfrenata. Già cominciarono a cadere i primi. Il 196°, avuto il nostro aiuto, abbandonò la trincea lasciandoci soli; la nostra artiglieria ci cooperava magnificamente; ma, usciti coperto, anziché allungare il tiro, mantenne la medesima distanza: le nostre granate, dirette al nemico, caddero su di noi seminando la strage e la morte quasi non bastassero le fucilate e le cannonate nemiche. Però, bisogna pur confessarlo, non fu colpa dell’artiglieria né la nostra, fu del 196° che, nella fretta di disimpegnarsi dal fuoco, buttò via i dischi bianchi di segnalazione per l’artiglieria, senza avvisarci. Di conseguenza gli artiglieri continuarono il tiro che tenevano prima del nostro sbalzo avanti!”
Il gran numero di vittime e il ritorno offensivo austriaco costrinsero a tornare sulle posizioni di partenza. Sangue inutile. Attacco italiano, contrattacco austriaco, ritirata degli attaccanti, ridotti a un drappello di sopravvissuti esausti. E tutto resta come prima. Con più morti e feriti di ieri e meno di domani.
Nel novembre 1915, una ferita di guerra lo rese inabile alla prima linea e provocò il trasferimento in artiglieria. In questa veste venne trasferito a Terni e durante il servizio presso la Fabbrica d’Armi conobbe nel 1916 quella che diventerà sua moglie, Annunziata (Tina). A fine guerra, lavorerà nell’azienda di famiglia, come rappresentante dell’olio di propria produzione. Dal matrimonio nacquero Emmanuella, Maria Antonietta (mamma di Gerardo Cesari) e Giovanni, oltre a un bimbo morto durante il parto dopo un travaglio di due giorni. Nel 1940 il ritorno a Terni e l’impiego nell’Acciaieria. È morto nel 1975.

In trincea sul San Michele: 1915: diario di un sergente pugliese nella Grande Guerra
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