Infinite Loss
- Autore: Salvatore Toscano
La perdita, si sa, implica sempre sofferenza ma rivela a volte risorse e forze sottaciute. E inattese. E’ questa l’annotazione più sincera che ci sentiamo di vergare dopo aver letto il breve libro di Salvatore Toscano, "Infinite Loss". Un racconto-non racconto in cui il dolore cede spesso il passo alla mente, intessendo una cronaca ai limiti dell’acrobazia narrativa. Nel breve romanzo dell’esordiente di Pomigliano d’Arco è possibile cogliere la smania di chi ha deciso di tributare la propria esistenza alla scrittura, traendo da essa una pienezza capace di decidere umori e di scandire ritmi. Ad azionare ogni cosa è la scomparsa dello scrittore David Foster Wallace (il titolo stesso del libro è un chiaro rimando al capolavoro dell’americano, "Infinite Jest"), che trascina l’autore in un gorgo di considerazioni e confessioni inedite. E’ così che, in un mix tanto audace quanto fortunato, il diario a cuore aperto di Toscano si combina alla critica letteraria più pungente, dando vita a un racconto arioso, carico di suggestioni e di immagini folgoranti. Il viaggio dell’autore sconfina in territori intimi, offerti al lettore senza mai cedere al patetismo. Anzi: attraverso un’autoanalisi a tratti impietosa, Toscano giunge al cuore di questioni irrisolte, inoltrandosi in zone chiaroscurali in cui il tomento personale è stemperato dalla freschezza stilistica, ma non per questo evitato. O sconfessato. E a conferire più autenticità all’intera operazione (quasi una seduta psicanalitica) è la visionarietà a cui l’autore decide di ricorrere per celebrare una comunione imperturbabile. In un dialogo ideale con lo scrittore scomparso, consumato tra le righe di un libro esoterico, Toscano sceglie, infatti, di inanellare quesiti e questioni irrimediabili, spalancando le porte a immagini incantate e a fantasmi familiari. E’ in queste pagine che lo scrittore di "Infinite Loss" ci regala picchi di lirismo sorprendenti, conquistandoci con la sua prosa asciutta e avvolgente. Nell’economia stilistica del suo romanzo (nessuna parola appare sprecata, tutte risultano irrinunciabili), l’esordiente di Pomigliano d’Arco tradisce una maturità invidiabile, capace di innalzare ogni cosa attraverso una faticosa operazione di “diminutio” che, per contrasto, magnifica la ricchezza contenutistica del testo. Per snudare raggiungimenti dolorosi, distanti da ogni forma consolatoria:
“Mi è chiaro che un uomo è soltanto ciò che ha perso”, scrive Toscano, e che “il massimo che ci è concesso è far pascolare la nostra intelligenza e la nostra sensibilità dentro tutto questo disordine doloroso”.
Infinite loss. Dedicato a David Foster Wallace
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