Si intitola Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza il nuovo libro di Anna Toscano edito da Electa nella collana Oilà dedicata alle protagoniste femminili del Novecento italiano.
Un viaggio breve, di meno di cento pagine, alla scoperta di una delle più enigmatiche scrittrici italiane, il cui nome stesso – così unico, altisonante, soltanto suo – sembra racchiudere un mistero o un tesoro nascosto, proprio come le carte custodite nel fondo di quel baule come in uno scrigno e rivelatesi al pubblico soltanto dopo la sua morte.
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Anna Toscano, scrittrice, poeta, docente universitaria e studiosa che ha dedicato anni di studio e ricerca all’analisi dell’opera dell’autrice catanese, in queste pagine cerca di svelare al lettore il “mistero Sapienza” dando voce proprio alla sua indimenticabile personaggia, Modesta, la protagonista de L’arte della gioia che diventa a sua volta narratrice della storia.
Un libro che è come una porta spalancata sulla vita intima di una scrittrice venuta sempre in anticipo sul proprio tempo, oggi più contemporanea dei contemporanei. Il titolo stesso “Il calendario non mi segue” è una citazione tratta dai Taccuini di Goliarda Sapienza, utile a descrivere la parabola esistenziale di una grande scrittrice del nostro Novecento il cui vero valore è stato scoperto soltanto dopo la morte, con un ritardo imperdonabile.
Morì incompresa, sconosciuta al mondo letterario, eppure oggi le sue carte ci parlano, i personaggi da lei creati palpitano di vita e pensiero autonomo, Goliarda – come tutti i classici – non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Quest’anno si celebra il centenario della nascita di Goliarda Sapienza ed è l’occasione propizia per scoprire e approfondire la sua vita e la sua opera.
Come si spiega il destino letterario di questa autrice? Qual è la grande lezione custodita nelle pagine de L’arte della gioia?
Ne abbiamo parlato con Anna Toscano in questa intervista.
- Mi ha molto colpito la scelta di raccontare la biografia di Goliarda Sapienza dal punto di vista di Modesta, il personaggio-figlia che l’autrice nei Taccuini definiva “la bambina nata morta” o ancora la “figlia non nata”. È come se la narrazione riallacciasse i fili tra personaggi romanzeschi e personaggi reali, forse non c’è davvero un confine quando si parla di scrittura?
Entrare nella vita degli altri è sempre una forma di sopruso, significa impossessarti di qualcosa che non è tuo, se non lo fai a livello esattamente scientifico. Quando ho iniziato a scrivere avevo paura di non usare i guanti bianchi, di rovinare qualcosa della storia di Goliarda. Far parlare Modesta era un compito difficile, avevo anche timore di ferire Angelo Pellegrino, perché questo personaggio, a ben vedere, secondo me è un po’ figlio di loro due, di Angelo e Goliarda. Invece per fortuna devo dire che lui l’ha molto apprezzato. Ormai da quindici anni, quasi venti, lavoro su Goliarda Sapienza, quindi penso di non aver inventato nulla o aggiunto nulla che non fosse attinente alla realtà delle cose.
- La tua scelta narrativa si riallaccia al tema della maternità che è poi all’origine della scrittura di Goliarda Sapienza. La prima poesia scritta da Goliarda era dedicata alla madre, Maria Giudice, come fai notare all’inizio del libro. E ora viene data voce a Modesta come un passaggio di testimone. È lei, dunque, la figlia di Goliarda?
Mi piaceva l’idea che Modesta avesse visto la luce grazie alla pubblicazione de L’arte della gioia. Nel baule di Goliarda io vedevo il buio, invece c’era la luce – tra l’altro questa dicotomia è molto presente anche nelle sue poesie. Modesta non solo ha visto la luce grazie alla pubblicazione del libro, ma continua a vederla, continua a essere in dialogo con l’umanità. Mi sembra molto potente questa immagine di Modesta sotto gli occhi di una marea di lettori in tutto il mondo, in tutte le lingue, che tuttora viaggia sulle metropolitane, per le strade, sui treni. Questa è una vita enorme che Goliarda ha dato alla sua personaggia, Modesta, e io ho pensato che lei fosse assolutamente grata di questa vita tardiva ma che, dopotutto, ha avuto.
- Ormai è da tanti anni, quasi venti, che ti dedichi a Goliarda Sapienza. Sei una delle principali studiose italiane della sua opera. Mi interessava sapere com’è nata questa grande passione, come la scoperta di Goliarda abbia modificato la tua vita di donna e di scrittrice. Ricordi quando è stata la prima volta che l’hai letta? Con quale libro?
Penso che il modo in cui io l’ho scoperta abbia totalmente a che fare con l’arte di Goliarda, perché mi è stata regalata per i miei quarant’anni da una carissima amica. Mi aveva regalato l’edizione de L’arte della gioia appena pubblicata da Einaudi. Ricordo che già il giorno dopo la festa mi aveva inviato un messaggio sms chiedendomi “L’hai letto?”. Ovviamente era un libro corposo, non avevo ancora avuto il tempo di leggerlo.
Il giorno dopo di nuovo il messaggio: “L’hai letto?” e io le ho risposto “No, dammi il tempo”. Al terzo messaggio ho capito che voleva dirmi qualcosa. In fondo è quello che racconta la stessa Goliarda, il passaggio amicale degli affetti che avviene anche attraverso i libri.
Dopo qualche giorno quindi ho preso in mano questo grosso libro, ho iniziato a leggerlo la sera stessa e ricordo di essere stata sveglia tutta la notte per finirlo. In quel momento ho capito.
Ricordo che la prima cosa che mi sono domandata a lettura conclusa, a parte pensare “questo libro è stupendo”, è stata: chi è Goliarda Sapienza? Perché era stata appena pubblicata, ne sapevo ben poco. E da lì è iniziato tutto.
Recensione del libro
L’arte della gioia
di Goliarda Sapienza
- In un articolo hai scritto che “Uno degli aspetti più belli dell’essere appassionati di Goliarda Sapienza è che Goliarda Sapienza non finisce mai”. È corretto dire che sei stata una delle prime studiose italiane a occupartene?
Una delle prime studiose di Goliarda Sapienza è stata Monica Farnetti, che aveva già scritto molto su di lei. Sicuramente io sono stata la prima a mettere mano sulle poesie. Più avanti quando una studiosa mi chiese di scrivere un articolo su L’arte della gioia io rifiutai, perché in quel periodo mi stavo occupando quasi esclusivamente di poesia e quindi dissi “no, non ce la faccio ora a scrivere un saggio accademico su L’arte della gioia”.
È stata lei a dirmi che c’era anche della poesia scritta da Goliarda. Allora ho scritto subito ad Angelo Pellegrino presentandomi, e lui mi ha inviato in allegato alla mail il Pdf battuto a macchina da Goliarda. La cosa sorprendente è che in quei fogli c’erano anche le note a margine scritte a mano da Goliarda stessa. Da lì è iniziato un lungo lavoro e sulle poesie di Goliarda Sapienza e la raccolta Ancestrale infine è stata pubblicata da quello che all’epoca era il mio editore, La vita felice, nel 2013.
- È curioso che tu abbia scoperto e approfondito la poesia, che è poi proprio l’origine, l’embrione, della scrittura di Goliarda.
È stata un’intuizione. Già nell’Arte della gioia, a ben vedere, c’è molta poesia, ci sono dei versi. Quindi doveva per forza esserci dell’altro. Un giorno, forse, scriverò qualcosa sul continuo rimando tra i versi dell’Arte della gioia e quelli di Ancestrale. Anch’io, inoltre, come dicevi tu, identifico l’origine della scrittura di Goliarda con A mia madre, quelle prime cinquanta poesie della raccolta Ancestrale.
- Pensi che ci sia ancora altro da scoprire e da leggere di Goliarda Sapienza?
Da quello che dice Angelo Pellegrino tutto quello che era compiuto è stato pubblicato. È anche vero che c’è un sacco di materiale, ad esempio le lettere e i biglietti non erano propriamente delle prose, eppure sono stati pubblicati. Quindi sicuramente c’è ancora molto da scoprire, ad esempio i due romanzi incompiuti sui fratelli e sulla madre.
Prima o poi finiranno le opere scritte di suo pugno, eppure è talmente vasto il repertorio lasciato da Goliarda che rimane sempre qualcosa da scoprire. I Taccuini ogni volta che li leggo, ad esempio, mi spalancano una prospettiva diversa. Ogni volta la mia attenzione viene rapita da un dettaglio che prima non avevo notato. Per cui sì, in definitiva possiamo dire che c’è sempre qualcosa di nuovo da leggere di Goliarda.
- Tutto questo immenso materiale custodito per anni in un baule. Mentre Goliarda Sapienza era in vita pochissime sue opere sono state pubblicate e L’arte della gioia non vide mai la luce. Tu come ti sei spiegata questa mancata pubblicazione? Era un’autrice troppo in anticipo sul proprio tempo come ribadisci nel titolo “Il calendario non mi segue”?
Sul fatto che lei fosse in anticipo sono d’accordo, però dicendolo farei anche una forzatura. Io credo che la letteratura ci aiuti a vedere cose che nel nostro tempo non vediamo. Sono convinta che se avessimo avuto dei critici più illuminati e che se Goliarda fosse stata un uomo, o se avessero dato più credito a Goliarda come scrittrice, il suo tempo poteva essere anche venti o trent’anni fa. Perché Goliarda ci avrebbe aiutato a vedere un sacco di cose che vediamo oggi. Lei era in anticipo; ma la letteratura a volte serve a questo. Poteva avere una grandissima risonanza già in vita, però non le è mai stata data la possibilità, non le è mai stata data lettura. Quindi non posso dire che il suo tempo non poteva comprenderla: non ha saputo comprenderla, per cui c’entra anche la volontà.
- A un certo punto hai detto: “se Goliarda fosse stata un uomo”. Pensi che in qualche modo abbia pagato il fatto di essere donna? Che questo abbia penalizzato il suo destino letterario? Il che rientra anche nel discorso, molto attuale, sulle pari opportunità…
Non credo sia stata rivalutata solo perché donna, è stata rivalutata perché la sua opera è grandiosa. A quei tempi, ad esempio, una scrittrice come Alba de Céspedes era letta e apprezzata, Goliarda no, ma perché non le è neanche stata data un’opportunità, la sua opera non è mai arrivata ai lettori. Penso che talvolta l’acume delle lettrici e dei lettori sia maggiore dell’ottusità dell’editoria. Questo è ciò che ci dimostra la vicenda di Goliarda Sapienza.
Se pensi che la prima edizione de L’arte della gioia, stampata da Angelo Pellegrino in un’edizione autopubblicata di appena mille copie, è arrivata nelle mani di una grande editor tedesca e poi di un editor francese ed è diventata il grande capolavoro che conosciamo oggi… ecco, allora capisci che i lettori camminano più veloci dell’editoria. Esiste un’attenzione dei lettori e delle lettrici da non sottovalutare.
- La figura di Angelo Pellegrino è stata fondamentale per la riscoperta e la pubblicazione di Goliarda. Nel libro tu ti soffermi molto sul loro rapporto, su questa relazione simbiotica di arte e di scrittura. Pensi che sia stato lui, suo marito, a tutelare l’identità letteraria di Goliarda Sapienza?
Con Angelo Pellegrino abbiamo lavorato insieme alla pubblicazione di Ancestrale. Quello che ho scritto io inoltre si basa molto sul suo libro, edito da Einaudi, Goliarda.
Penso che senza Angelo Pellegrino oggi non esisterebbe il fenomeno Goliarda Sapienza, perché alla morte di lei nessuno si sarebbe preso cura di questo famoso baule. Lei, forse proprio perché c’era lui, non l’ha donato a nessuno.
Questo ce lo testimonia molto bene anche il funerale di Goliarda, secondo me. Quel giorno, tra l’altro sotto un sole cocente, mentre tutti elogiavano e piangevano la donna, Angelo piangeva la scrittrice. Al funerale lui fece un discorso elogiando proprio la scrittrice, mentre tutti in quel momento lo fissavano stupiti ascoltando questa orazione a una scrittrice che nessuno sapeva fosse una scrittrice. Lui invece parlava della vita che potevano avere le sue carte. Ed è stato proprio lui, Angelo Pellegrino, a restituire quella vita, l’eredità letteraria di Goliarda.
- Un’altra cosa che colpisce della scrittura di Goliarda è la sua attenzione alla marginalità, a chi vive ai margini. Penso a L’università di Rebibbia quando descrive il carcere come una lezione di umanità, affermando che le vere sbarre si trovano fuori…
Penso che questa attenzione alla marginalità Goliarda l’avesse ereditata dalla sua famiglia, dalla madre e dal padre. Maria Giudice era una giornalista e celebre attivista, sempre in prima linea per difendere i diritti dei più deboli. Giuseppe Sapienza era un avvocato socialista, noto per la sua attenzione nei confronti degli ultimi: c’era sempre la fila di poveri fuori dalla porta del suo studio. Si racconta che fosse solito dare il proprio cognome a numerose ragazze-madri a Catania per garantire loro la protezione che non avevano. Alcuni di quei bambini probabilmente erano pure figli suoi.
Goliarda aveva numerosi fratelli e sorelle. Quindi anche la stessa idea di “famiglia allargata” lei l’ha appresa dai genitori che, oltretutto, non erano nemmeno sposati quando lei nacque, una cosa sorprendente per l’epoca.
- La madre di Goliarda, Maria Giudice, era solita dire che per conoscere lo stato di salute di un Paese bisognava visitarne i manicomi, gli ospedali, le carceri…
Sì, e queste esperienze la stessa Goliarda le ha fatte tutte. I manicomi li aveva conosciuti sin da ragazza anche perché sua madre soffriva di un forte disagio psichico, di cui in seguito avrebbe sofferto lei stessa. Una cosa molto bella secondo me è che Goliarda ha fatto vivere alla sua personaggia, Modesta, degli eventi che lei nella vita avrebbe vissuto dopo, ad esempio il carcere.
È come se Modesta avesse in un certo senso anticipato una parte della vita di Goliarda.
- Mi sono sempre chiesta se il personaggio di Modesta fosse ispirato alla madre di Goliarda, Maria Giudice. Molti pensano che sia così.
Anch’io me lo sono chiesta. Ma molto probabilmente Modesta è proprio Goliarda, questo in un certo senso lo conferma il fatto che ne L’arte della gioia, nelle pagine finali, venga citata Maria Giudice. Questo nella mia terza rilettura del romanzo mi ha fatto un po’ vacillare nell’interpretazione, nel senso che ho pensato: Modesta è Goliarda, perché nel libro incontra sua madre.
- Un altro elemento di modernità in Goliarda Sapienza, che tu giustamente ribadisci nel libro, è l’attenzione alla psicoanalisi. Lei ne ha parlato sia ne Il filo di mezzogiorno che in Lettera aperta, con straordinario anticipo sui tempi. Possiamo dire che la scrittura di Goliarda era già una forma di autobiografia moderna capace di mettere l’Io al centro del racconto?
Questa scrittura in prima persona psicoanalitica è un po’ quello che i memoir fanno oggi. Lei scrive per sé stessa, la scrittura è una forma di recupero di sé e non di esibizione del proprio io, come scrive ne L’arte della gioia: “scrivere senza alterare niente”. Per lei la scrittura diventa una forma di cura per salvarsi, la vera terapia. Secondo me Il filo di mezzogiorno ci racconta anche questo, di come la psicanalisi e l’elettroshock non fossero la strada né la cura, in questo senso la scrittura diventa ricostruzione, sostituisce la psicoanalisi.
Nel caso specifico di Goliarda poi la scrittura era la vita.
- Volevo soffermarmi sul format innovativo della collana “Oilà” di Electa dedicata alle figure femminili del Novecento. Prima de Il calendario non mi segue tu avevi già scritto un libro per questa collana, Con amore e con amicizia, dedicato alla fotografa Lisetta Carmi. Sono libri brevi pensati per essere letti in quarantacinque minuti.
Brevità, femminismo, memoria sono le caratteristiche fondamentali?
È una collana molto bella che solo in sessantamila battute riesce a spalancare una porta sulla vita di un’autrice o di un’artista.
La curatrice è Chiara Alessi, una curatrice di collana speciale perché davvero è capace di vedere le possibilità di ciò che si potrebbe scrivere. È stata lei a chiedermi di scrivere di Lisetta Carmi, perché aveva letto alcuni articoli che le avevo dedicato e quindi ha pensato che potessi farlo. Naturalmente io non vedevo l’ora di scrivere su Lisetta. Quando mi ha chiesto Goliarda poi ne ero entusiasta, benché sia stato più complesso.
Una volta mi è stato fatto notare che sto a rovistare nella vita delle autrici. Ma la vita non può che essere dentro l’opera, proprio come l’opera è nella vita. Penso anche a Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Fabrizia Ramondino…non si può pensare che queste autrici o artiste siano al di fuori dei libri che scrivono. Presentare la loro vita è utile per capire come loro siano entrate nella loro arte.
Goliarda si è travasata nella carta, come dice Angelo Pellegrino. Ma questo i critici, che sono soprattutto uomini, non lo capiscono. A volte manca quello scatto in più per comprendere che dietro un grande romanzo c’è una grande scrittrice.
- È stato difficile condensare tutta la narrazione in così poche battute? Immagino di sì, visto che studi Goliarda da tanti anni…
La cosa più difficile nello scrivere questo libro in realtà è stata trovare un punto di vista. Mentre per il libro dedicato a Lisetta Carmi la difficoltà è stata trovare del materiale, perché appunto di materiale in commercio non ce n’era e quindi ho trascorso ore e ore in biblioteche gelide e nascoste cercando e ricercando, per Goliarda la difficoltà era proprio trovare un filo narrativo appropriato per raccontarla e non correre il rischio di ripetermi. Il problema è stato proprio condensare tutto il mondo di Goliarda che avevo in testa e trovare un nuovo filo.
Mi sono chiesta: cosa posso dire a chi non conosce Goliarda? E a chi invece la conosce bene? Dovevo trovare un tratto d’unione per coinvolgere entrambi questi potenziali lettori.
- E quando hai capito di aver trovato il filo narrativo giusto dando la parola a Modesta?
Pensa e ripensa alla fine mi sono venute tre idee. Un giorno ho chiamato Chiara Alessi e gliele ho raccontate. Quando le ho detto di voler affidare la narrazione a Modesta lei mi ha risposto “Ho i brividi sulle braccia”. E allora ho capito che quella era l’idea giusta.
Modesta parla tanto nell’Arte della gioia, è una figura piena. E secondo me recuperare Modesta è giusto quanto recuperare Goliarda, se vogliamo dare vita alla scrittrice dobbiamo anche occuparci della sua personaggia, della protagonista de L’arte della gioia.
Che a ben vedere non è solo una personaggia di carta, è talmente tridimensionale come lei la racconta che alla fine sembra quasi essere la tua “comunità immaginata”, come diceva Susan Sontag, diventa una persona che conosci. Goliarda non la descrive mai, non ci dice se è alta, bassa, magra, siamo noi lettori ad attribuirle delle caratteristiche ed è questo che ci dà ancora di più lo spessore dell’umanità di questa personaggia.
- Che tra l’altro è una personaggia piuttosto singolare. Il comportamento di Modesta non è quasi mai simpatico, né morale né condivisibile per buona parte del libro, eppure tutti noi lettori siamo affascinati, quasi soggiogati da lei, dal suo carisma. Tu come ti sei spiegata questa fascinazione?
Alcune amiche a cui ho regalato L’arte della gioia a pagina trenta l’hanno messo via. Mi hanno detto “Non posso leggere un libro che inizia con uno stupro su una bambina”. Ma al di là di questo, secondo me, l’importante è come lei reagisce allo stupro: lei non è la vittima. Non fa mai la vittima in nessuna circostanza. Il bello è che Goliarda fa trarre a Modesta sempre il lato evolutivo della questione.
- Per concludere con il tuo libro invece, “Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza”, è molto originale oltre che il formato, anche la copertina. Cosa vuole rappresentare?
Quello che è stato posto sopra è la scrittura di Goliarda, il tratto sottile della sua penna bic. Anche i colori non sono casuali. Il giallo richiama il sole di Goliarda, il grande sole di Sicilia; poi c’è il blu del mare che rimanda ai tuffi in mare di Modesta a Catania e poi a quelli di Goliarda a Gaeta. Il rosso un po’ mi appartiene perché è lo stesso colore che è stato utilizzato per il libro su Lisetta Carmi, una sorta di filo conduttore.
Poi, ecco, qui si vede la genialità grafica di Studio Sonnoli. In basso si può vedere il pattern che richiama la prima edizione di Lettera aperta (1967): sono i simboli dei carretti siculi.
Anche le fotografie da inserire all’interno del libro le abbiamo scelte insieme: volevo delle immagini che raffigurassero tutta la vita di Goliarda. Di solito lei è immortalata in quella più rappresentativa, eternamente giovane. Invece qui volevo offrirne un ritratto più tridimensionale: in una foto la si vede in compagnia dei “cari altri, delle care altre” e l’ultima immagine, che ho voluto fortemente, raffigura lei che scrive.
Volevo delle foto che non fossero solo di corredo al testo, ma che facessero parte della narrazione, questo è molto importante. L’intera vita di Goliarda, in un certo senso, è scansionata sulla base di queste tre immagini.
- Ricordi cos’hai provato la prima volta che hai letto Goliarda Sapienza? C’è un insegnamento in particolare che hai tratto da L’arte della gioia?
La prima volta ricordo di non aver pensato nulla perché ero assolutamente intrigata dalla storia. E quando ho chiuso il libro ricordo proprio la sensazione di aver guardato la copertina e aver pensato: “Questo è un capolavoro”, ecco. Credo di essermi stupita dell’ardire di Goliarda Sapienza nel dire e nello scrivere certe cose, mi sono stupita soprattutto pensando agli anni in cui lei le scriveva. Nella seconda e nella terza rilettura ho invece colto più cose mie personali, temi e riferimenti che mi affascinano.
Sono delle riflessioni importanti quelle che Goliarda fa ne L’arte della gioia. Comunque la cosa che fa bene tutte le volte che lo si legge è la consapevolezza che ti restituisce, cioè il fatto che le donne possano decidere liberamente quello che vogliono fare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Anna Toscano: “La mia Goliarda e la sua arte della gioia in anticipo sul calendario”
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